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Ri-semantizzare i monumenti, la nuova sfida di Simona Da Pozzo
Arte contemporanea
“Quando sbucci il marmo, si fa latte, fiume o vapore” è il titolo del lavoro realizzato dall’artista italo venezuelana Simona Da Pozzo che racconta la ricerca Atlas dei Corpi da lei condotta sul monumento Corpo di Napoli. L’iniziativa è a cura di Ex – voto Radical Public Culture promosso da l’Arsenale di Napoli in collaborazione con la Società Napoletana di Storia Patria e gode del Matronato della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee. Il progetto, inaugurato nel 2019, intende proporre un’indagine su/con il Corpo di Napoli, il Monumento al Nilo: un tentativo di alleanza con un monumento per raccontare la molteplicità dei corpi, umani e non, ai margini della rappresentazione e rappresentanza nello spazio pubblico. Un’azione diffusa nello spazio e nel tempo per restituire la complessità della ricerca dell’artista coinvolgendo diversi luoghi nella ricerca stessa. Partendo dall’invito fatto da L’Arsenale di Napoli all’artista di presentare parte della propria ricerca negli spazi di Palazzo Fondi, Ex-Voto situa alcune opere di tale ricerca, nei luoghi dell’indagine tramite una programmazione diffusa.
Abbiamo intervistato l’artista per comprendere la sua opera e la sua poetica.
“Quando sbucci il marmo, si fa latte, fiume o vapore” è il titolo del tuo ultimo lavoro che racconta la ricerca Atlas dei Corpi da te condotta sul monumento Corpo di Napoli. Come nasce questa idea?
Il laboratorio in cui elaboro Atlas dei Corpi è lo spazio pubblico, è il Corpo di Napoli: i passanti sono regolarmente invitati a prendere parte alla ricerca attraverso incontri casuali, incidenti nel quotidiano, senza proclami.
Nel corso di questi primi tre anni d’indagine, ho esposto le opere nate dal processo in diversi contesti, ma sentivo il bisogno di condividerlo con le persone che abitano Napoli, perché Atlas dei Corpi è arrivato a un punto di svolta: la svolta dettata dalla possibilità ritrovata di slittare da un rapporto intimo e personale con il monumento, a una dimensione collettiva e sempre più plurale.
Con “Quando sbucci il marmo, si fa latte, fiume o vapore”, condivido per la prima volta il work-in -progress come un insieme di accadimenti, anche se parziali, attraverso appuntamenti, date, orari, per allacciare nuove connessioni e conversazioni con abitanti, ricercatori e attivisti.
Quando nasce il tuo interesse per il Monumento al Nilo? E quanto questo ti ha condizionata nella tua produzione successiva?
Nasce nel 2019, in un periodo in cui abitavo a cavallo tra Napoli e Milano. Lavoravo già da qualche anno sui monumenti con il progetto Hacking Monuments: uno studio sugli interventi con cui artisti e attivisti risemantizzano i monumenti, in particolare quelli che attivano prospettive decoloniali. L’hacking attua una re-semantizzazione dell’icona monumentale utilizzando il piedistallo/visibilità del monumento per far passare una visione/messaggio alternativa a quella dominante.
L’incontro con il Corpo di Napoli ha spostato l’asse dei miei hackeraggi: ha generato il desiderio di entrare in una prospettiva metodologica che increspi il mono-logo del monumento per elaborare la possibilità di farlo portatore e complice di una pluralità di storie. Come far coesistere e proiettare simultaneamente molteplici storie sul Corpo di Napoli?
“Quando sbucci il marmo, si fa latte, fiume o vapore” presenta tre dei possibili Corpi di Napoli: il corpo fluviale, il corpo di Partenope e dei suoi putti, il corpo vapore. Ognuno di questi corpi è raccontato con un’opera video in una modalità che ingloba il contesto nella fruizione. Ma questi sono i corpi frutto delle mie priorità, desideri e visioni. Sono quindi solo alcuni dei numerosi corpi di cui il monumento inizia a farsi portatore.
Questa ricerca condiziona completamente la mia pratica: tento di pensare con e attraverso il monumento quali sono le urgenze del mio agire come individuo, come artista e come abitante di questo pianeta.
In che modo questo monumento ci dà la possibilità di raccontare i corpi nella loro molteplicità e nella rappresentazione e rappresentanza nello spazio pubblico?
Il Corpo di Napoli per la sua conformazione iconografica e per la storia del suo rapporto con il territorio, evoca lo scorrere, l’inclusione, la molteplicità.
Corpo di Napoli è il nome attribuito al monumento dagli abitanti della città: la statua del II sec D.C, rinvenuta nel XVII sec senza testa e senza un braccio, sembrava allattare i putti che lo attorniavano. Viene quindi interpretata come resti del corpo di Partenope, fondatrice della città partenopea, corpo di sirena oltre le specie.
Il monumento viene successivamente studiato, identificato come Fiume Nilo (grazie al suo simile conservato nei musei Vaticani), restaurato e ricollocato. Il monumento torna ad essere un fiume che scorre altrove, racconta prospettive di un mondo il cui ritmo era dettato dall’ambiente, quello in cui lo straripamento dei fiumi era un dono. Oggi il Nilo non straripa più, almeno da quando la diga Aswan Hight Dam è stata costruita, e il suo corpo è al centro dei conflitti dei paesi che attraversa, come molti paesi oggi al centro dei processi estrattivi e dei flussi di energia.
Ecco, questi pochi frammenti tratti dalla conformazione e della storia del monumento, permettono di immaginare alcuni dei corpi che possono trovare rappresentanza nello spazio pubblico tramite il monumento al Nilo, a cui vanno aggiunti tutti i corpi che fino ad ora non sono stata in grado di vedere, ma che altre persone, altri sguardi potrebbero raccontare e proiettare su/con il monumento.
Il progetto infatti rotea intorno all’idea che monumenti non sono solo oggetti fisici, ma anche oggetti narrativi: la lettura che se ne fa si inscrive nello spazio pubblico tanto quanto la loro materia e forma. Questo aspetto della narrazione è fondamentale ai fini di comprenderne il potenziale. Per questo l’allargamento della ricerca a una dimensione collettiva, resa possibile dalla fine della crisi pandemica, è cruciale: la narrazione del Corpo di Napoli può arricchirsi di nuove, contemporanee istanze che rappresentino temi, bisogni, prospettive alternative a quelle dominanti.
Il proseguo del progetto tratta il monumento quindi come spazio per conversazioni e narrazioni collettive di cui la mia ricerca e, magari, il monumento, si fanno amplificatori.