11 ottobre 2000

Fino al 4.XI.2000 Janieta Eyre: una dark lady della memoria Verona, Galleria Francesco Girondini

 
Ha fatto a lungo discutere riscuotendo non poche critiche la mostra “Rosso vivo” al PAC di Milano, organizzata da Francesca Alfano Miglietti nel ’99...

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…eppure, senza voler con questo fare del qualunquismo, si potrebbe anche affermare che è stato un evento chiave per circoscrivere ed identificare non un gruppo di artisti, si badi bene, ma una corrente non aggregata che caratterizza l’arte contemporanea internazionale. La si potrebbe definire una tendenza decadente, per poter ad un tempo unire certi aspetti idealistici con realizzazioni di forte impatto emotivo caratterizzate da immagini violente che intervengono invasivamente sulla fisicità umana.
Ora la neonata galleria Francesco Girondini di Verona ripropone uno degli artisti di “Rosso vivo”, la fotografa Janieta Eyre che si presenta al sofisticato pubblico scaligero con la mostra “Lady Lazarus”. Nata a Londra nel ’66, oggi vive e lavora a Toronto; espone con intensità dai primi anni ’90 e, nonostante le già varie presenze in collettive organizzate in Italia (Busto Arsizio, Lignano Sabbiadoro, Milano, Cesena, Pescara, Palermo, Siracusa, Torino) è alla sua prima personale nel nostro paese.

Esposte sono opere degli ultimi due anni, foto per lo più di medie dimensioni realizzate con tecniche diverse, in bianco e nero e a colori. Il soggetto è sempre lo stesso: Janieta Eyre. Ciò che muta sono gli ambienti, il trucco del volto, le vesti, le pose, anche se si ha come la sensazione che i mutamenti siano quasi impercettibili: sempre rivolta allo spettatore, gli occhi (chiusi o aperti) diretti al riguardante, le labbra serrate in un mutismo assoluto, le mani spesso abbandonate lungo il corpo, o composte davanti ad esso. Questo ordine, questa compostezza, che sembrano rifarsi al galateo e ad un purismo comportamentale esasperato, amplificano l’effetto macabro dei dettagli: nelle foto a colori il colore di sangue, gli effetti decorativi ipnotici di vesti e carte da parati, gli occhi inquietanti cerchiati di nero, le orbite cieche; nelle foto in bianco e nero le vesti di pizzo, sovrapposte a pesanti gonne fruscianti di teffettà o le nudità, le scarpe dalle grosse fibbie rettangolari e lucide, di nuovo gli stessi occhi. E ciò senza dire degli altri oggetti che compaiono occasionalmente: una testa di capro mozzata, strani pentagrammi, o numeri, o segni misteriosi, tracce di riti occulti, di liturgie deviate.
E’ facile trovarsi a disagio di fronte a questa teoria “malata” di figure, talvolta isolate, tal’altra accostate in dittici o trittici.

Eppure non siamo di fronte al solito artista spatter, niente affatto. Janeta scandaglia il proprio io, si dice alla ricerca di “ricordi di sconosciuti”, diremo piuttosto che trova le paure di tutti. Ci sono le paure delle deviazioni religiose, dell’operazione chirurgica, della violenza fisica, della manipolazione genetica, ma anche, più in generale, del sangue, del buio, della morte.
Le figure di Janieta sono fantasmi al di là di ogni suggestione. Le immagini in b/n lavorate con la tecnica della gelatina d’argento presentano infatti particolari che dimostrano la grande abilità tecnica dell’artista. Ad una attenta osservazione è possibile vedere trasparire, attraverso le figure, il pavimento o la parete sottostanti, e quando due di esse entrano in contatto, finiscono per sovrapporsi, per confondersi: fantasmi, appunto. Sono immagini corporee diafane, solo apparentemente immobili: esse infatti mostrano talvolta aree sfuocate, come se qualcosa si fosse mosso, come se dietro all’apparente immobilismo vi fossero in realtà celati gesti lentissimi, apprezzabili solo da tempi fotografici lunghi, come il movimento delle stelle.
Di fronte a considerazioni come queste vien da chiedersi quale altra tecnica d’espressione avrebbe potuto usare Janieta se non la fotografia, che ai suoi albori fu vista con sospetto come strumento quasi soprannaturale capace di cogliere lo spirito, l’anima o l’aurea di oggetti e persone.

A leggere il fondamentale contributo di Rosalind Krauss (“Teoria e storia della fotografia”) non si possono che trovare certe corrispondenze tra le opere di Janieta e le idee dei cosiddetti “primitivi” della fotografia, da Balzac (“teoria degli spettri”) a Talbot, a Tournachon, per giungere a Nadar.
Volendo andar oltre, non è aliena da qualche ragione anche la considerazione di assomigliare l’arte di Janieta a certe correnti musicali post punk (fine anni ’70) che fecero della trasgressione verbale e del trasformismo le loro bandiere.
Per concludere: non cercate solo le emozioni forti in Janieta, non chiedetele lo splatter o la violenza (che, speriamo come oggi, non ve ne darà), leggetene piuttosto la tecnica e le sottili evocazioni iconografiche; ne comprenderete meglio la complessità e forse ne intuirete il genio.

Alfredo Sigolo

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“Janeta Eyre. Lady Lazarus”, Galleria Francesco Girondini arte contemporanea, via de nicolis 1, Verona. Dal 16 settembre al 4 novembre 2000. Orari: 16.00-19.30 (chiuso lunedì e festivi). Informazioni: tel. 045/8030775, fax 045/8020567, e-mail fg@girondiniarte.com, web http://www.girondiniarte.com Catalogo in galleria con testo di Walter Guadagnini

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