Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Nicoletta Borroni – SHAPES AND FORMS
La selezione dei toni cromatici che usa, a cominciare dalla scala sottilissima dei blu è un plesso morbido e come dotato d’una interna respirazione, non è serrare algidamente la forma, ma offrirle, e offrirsi, una prospettiva di lettura felicemente meno ortodossa.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Nicoletta Borroni ha bisogno di esattezza. Ogni passaggio, ogni bivio di scelta, scaturisce da un calcolo preciso. Tuttavia, ciò che non senti nel suo lavoro è proprio il calcolo, e piuttosto la decantazione sino all’essenziale del processo di pensiero che si fa forma, e immagine.
Ciò che Borroni mette in campo in questa rara uscita pubblica, figlia di molti anni di un lavoro “matto e disperatissimo”, è la meditatissima distillazione dei mille problemi di spazio, di luogo, che l’artista affronta nei suoi ragionari ad ampio spettro, e che rastrema sino a una forma a suo modo ultimativa.
Borroni ha scelto la via della realizzazione di oggetti pittorici. Il che significa che l’objecthood pittorica è di per sé qualcosa che irrompe nella nostra percezione, e idea, di luogo, come una presenza modificante e in grado di determinare l’insieme, di qualificarlo su un diverso piano di esperienza. Ha, in altri termini, spostato la finzione della pittura dal piano storicamente separato dall’ordinario – il quadro – al piano concretamente fisico del percepire.
Non le serve, per altro verso, dar corso alle effusioni, ché il lavorio emotivo è avvertito e macerato sino all’estremo in cui perde ogni facoltatività, ogni impurità soggettivistica: ma tale lavorio emotivo lo si sente pur vivo, e ben presente.
La selezione, attenta, maniacale verrebbe da dire, dei toni cromatici che usa, a cominciare dalla scala sottilissima dei blu, non crea uno spalto visivo respingente, è un plesso morbido e come dotato d’una interna respirazione, non è serrare algidamente la forma ma offrirle, e offrirsi, una prospettiva di lettura felicemente meno ortodossa.
Borroni parte da shapes compatte, come geometrie che alla prima parrebbero autosufficienti e introverse. Le Sagittae, ultime o penultime tra le sue esplorazioni, abitano l’orizzontalità della parete facendosi vettori diversi di visione, aprendosi addirittura a un ripensamento della ragione dello spazio chiuso rispetto all’aperto naturale al quale paiono tendere. Ma sono forme al loro interno composite, offrono e chiedono anche una visione ravvicinata e diversa, in cui cruciale è la contiguità dei toni, lo sfondamento prodotto dal loro alitare: e, soprattutto, quell’ineffabile senso che offre la consapevolezza che nulla è, in loro, della dura logica del size e molto invece della proporzione, della commensuratio capace di configurare non dimensioni ma qualità.
Certo, Borroni sa bene che questa è una via non inedita dell’avanguardia. Ma, posto che il suo lavoro è saldamente collocato fuori dai termini angusti e per molti versi impropri dell’avanguardia, la sua pittura architettante a ben altro mira: a rileggere nel profondo gli umori che sono stati di un Victor Pasmore e di un Rodolfo Aricò, giusto per fare due esempi tra i possibili: segni chiari, comunque, che per lei vale l’adagio di Mies van der Rohe, per cui “è meglio essere bravi che essere originali”.
Borroni, di suo, è molto, molto brava.
Ciò che Borroni mette in campo in questa rara uscita pubblica, figlia di molti anni di un lavoro “matto e disperatissimo”, è la meditatissima distillazione dei mille problemi di spazio, di luogo, che l’artista affronta nei suoi ragionari ad ampio spettro, e che rastrema sino a una forma a suo modo ultimativa.
Borroni ha scelto la via della realizzazione di oggetti pittorici. Il che significa che l’objecthood pittorica è di per sé qualcosa che irrompe nella nostra percezione, e idea, di luogo, come una presenza modificante e in grado di determinare l’insieme, di qualificarlo su un diverso piano di esperienza. Ha, in altri termini, spostato la finzione della pittura dal piano storicamente separato dall’ordinario – il quadro – al piano concretamente fisico del percepire.
Non le serve, per altro verso, dar corso alle effusioni, ché il lavorio emotivo è avvertito e macerato sino all’estremo in cui perde ogni facoltatività, ogni impurità soggettivistica: ma tale lavorio emotivo lo si sente pur vivo, e ben presente.
La selezione, attenta, maniacale verrebbe da dire, dei toni cromatici che usa, a cominciare dalla scala sottilissima dei blu, non crea uno spalto visivo respingente, è un plesso morbido e come dotato d’una interna respirazione, non è serrare algidamente la forma ma offrirle, e offrirsi, una prospettiva di lettura felicemente meno ortodossa.
Borroni parte da shapes compatte, come geometrie che alla prima parrebbero autosufficienti e introverse. Le Sagittae, ultime o penultime tra le sue esplorazioni, abitano l’orizzontalità della parete facendosi vettori diversi di visione, aprendosi addirittura a un ripensamento della ragione dello spazio chiuso rispetto all’aperto naturale al quale paiono tendere. Ma sono forme al loro interno composite, offrono e chiedono anche una visione ravvicinata e diversa, in cui cruciale è la contiguità dei toni, lo sfondamento prodotto dal loro alitare: e, soprattutto, quell’ineffabile senso che offre la consapevolezza che nulla è, in loro, della dura logica del size e molto invece della proporzione, della commensuratio capace di configurare non dimensioni ma qualità.
Certo, Borroni sa bene che questa è una via non inedita dell’avanguardia. Ma, posto che il suo lavoro è saldamente collocato fuori dai termini angusti e per molti versi impropri dell’avanguardia, la sua pittura architettante a ben altro mira: a rileggere nel profondo gli umori che sono stati di un Victor Pasmore e di un Rodolfo Aricò, giusto per fare due esempi tra i possibili: segni chiari, comunque, che per lei vale l’adagio di Mies van der Rohe, per cui “è meglio essere bravi che essere originali”.
Borroni, di suo, è molto, molto brava.
25
maggio 2022
Nicoletta Borroni – SHAPES AND FORMS
Dal 25 maggio al 30 giugno 2022
arte contemporanea
Location
GALLERIA MONOPOLI
Milano, Via Giovanni Ventura, 6, (Milano)
Milano, Via Giovanni Ventura, 6, (Milano)
Orario di apertura
da martedí a sabato 14-19
Vernissage
25 Maggio 2022, 18
Sito web
Autore
Curatore