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Numero Cromatico, un ponte tra arte e scienza, sul flusso della neuroestetica
Arte contemporanea
Presente fino al 12 giugno al MAXXI, Superstimolo è una project room costruita ad hoc per The Indipendent. Spazio espositivo ma anche sede di una serie di esperimenti di neuroestetica condotti in collaborazione con Brainsigns, incarna la volontà di Numero Cromatico di mostrare al pubblico un particolare approccio alla ricerca artistica. Ulteriore terreno di sperimentazione si trova in via dei Volsci 165, con L’Attesa. Visitabile fino al 19 giugno, costituisce il terzo e ultimo atto di “Tre Scenari sulla Percezione del Tempo”, una mostra del collettivo della durata di un anno solare.
Spazi immersivi e introspettivi, che mostrano l’intento di attivare nel pubblico un’esperienza estetica multisensioriale, e nei quali parole e frasi, che danno la sensazione di essere verità assolute, navigano eternamente sospese su uno sfondo dai colori intensi, un letto di fiori delicati o lana soffice.
Come percepiamo la bellezza? Cosa succede, a livello cerebrale, quando ammiriamo un’opera d’arte? Con lo sguardo rivolto verso i più avanzati studi nell’ambito della percezione estetica e una particolare attenzione alla neuroestetica, Numero Cromatico spazia tra le arti visive e le neuroscienze. Tre le direttrici lungo le quali si muove il loro lavoro: produzione scientifica, artistica e editoriale. Indissolubilmente legati, processo artistico e approccio scientifico fungono da ingredienti chiave per la realizzazione di opere che sono da sempre frutto di un approfondito studio interdisciplinare sui meccanismi cognitivi umani.
È a partire da “Tre Scenari sulla Percezione del Tempo – Atto I: La Memoria” (2021) che si apre una nuova stagione per Numero Cromatico, in cui le opere si fanno portanti di una nuova riflessione, basata sulla dicotomia naturale-artificiale e sull’utilizzo di una nuova tecnologia, quella dell’Intelligenza Artificiale. Sottile la linea che definisce chi sia il vero autore, finché non se ne comprende il funzionamento. Molti i quesiti che emergono e sui quali Numero Cromatico cerca di fare chiarezza.
Tutte le vostre opere più recenti sono realizzate da un’IA creata da voi. Qual è stato l’impulso che vi ha spinto ad approcciarvi a questa tecnologia?
«Come artisti, da sempre ci siamo battuti sull’importanza di non immettere nell’opera particolari contenuti o messaggi personali. Tra i nostri principi teorici c’è l’idea che l’artista non debba esprimere contenuti creativi propri ma debba, al contrario, attivare la creatività dell’osservatore.
L’intelligenza artificiale, pertanto, non è l’autore dell’opera ma uno strumento che deriva da questo convincimento. L’algoritmo diventa uno strumento di apertura mentre i testi generati, materiale stocasticamente casuale, in quanto l’intelligenza artificiale genera testi randomici all’interno di limiti precisi da noi definiti».
Come avete creato e educato la vostra IA affinché arrivasse a elaborare un prodotto facilmente assimilabile a quello umano, come delle poesie d’amore?
«Attualmente noi abbiamo tre intelligenze artificiali creative che generano testi poetici: P.O.E. (Poetry Of the End), che genera poesie sulla fine, epitaffi ed epigrammi; I.L.Y. (I Love You), che genera poesie d’amore; S.O.N.H. (Statements Of a New Humanity), che produce frasi e pensieri sul futuro dell’umanità.
Ognuno degli algoritmi citati è stato istruito con un corpus di migliaia di testi da noi selezionati e successivamente settato per rispondere a determinate caratteristiche che ci hanno permesso di arrivare ad un alto grado di forza letteraria».
Si parla sempre più di Intelligenza Artificiale, il cui utilizzo dilaga ormai nel mondo dell’arte. Questa sperimentazione tecnologica è il fine, oppure un mezzo per comunicare qualcos’altro? Quale è il suo nesso con la neuroestetica?
«Per noi è un mezzo, come è un mezzo la scienza. Nella maggior parte dei casi, l’approccio che noi abbiamo visto in questi anni, è di estetizzazione della tecnologia o della scoperta scientifica. Seppure visivamente interessanti, spesso queste operazioni si limitano ad illustrare un fenomeno della realtà. Il nostro interesse è sempre estetico e risponde ai nostri principi teorici. Oggi usiamo l’intelligenza artificiale, domani useremo probabilmente altre tecnologie».
Parlando di neuroestetica: ho avuto il piacere di partecipare al vostro esperimento al MAXXI, Superstimolo, realizzato in collaborazione con BrainSigns. Come avvengono e come strutturate questi esperimenti? Cosa c’è al centro di questa ricerca? Quali sono i risultati che cercate di ottenere? Che ruolo ha lo spazio in cui vengono inseriti?
«Considerando la ricerca artistica alla stregua di quella scientifica, in questi anni abbiamo cercato di applicare il metodo scientifico al nostro approccio di ricerca artistica e di inserirci con la nostra attività anche nel dibattito scientifico sull’arte. Attualmente sono due le principali linee di ricerca sulle quali stiamo lavorando. Una riguarda l’esperimento al MAXXI, dal nome SUPERSTIMOLO. In questo studio, diversamente della maggior parte di studi di neuroestetica, in cui ad essere prese in considerazione sono le caratteristiche formali dell’opera (bottom-up), quali colore, forme, o la relazione tra colore e forma, ci siamo chiesti quale potesse essere il ruolo svolto da processi cognitivi di alto livello (top-down), che noi definiamo “di contesto”, come per esempio la conoscenza a priori dell’autore di un’opera: un argomento molto dibattuto in campo artistico ma poco indagato scientificamente. Questo studio è un proseguimento di quello inaugurato da noi ad ArtVerona nel 2019, che è stato il primo esperimento di neuroestetica svolto in una fiera d’arte italiana e che ha sancito una nostra collaborazione con BrainSigns, un importante laboratorio della Sapienza Università di Roma.
L’altro studio riguarda un esperimento connesso al progetto “Tre Scenari sulla Percezione del Tempo” presso il nostro project space in via dei Volsci 165. Di questo secondo studio, per ora, possiamo raccontare poco, perché la raccolta dati è ancora aperta e si concluderà dopo l’estate del 2022. Ciò che possiamo dire è che si tratta di uno studio che indaga la creatività umana in relazione all’esperienza del tempo e dei comportamenti altruistici, che è nato da una collaborazione con il CNR di Roma.
Entrambi gli studi hanno la caratteristica di avvenire in luoghi tipici dell’arte, ovvero fiere d’arte, musei e project room, contribuendo all’apertura in campo neuroscientifico a raccolte dati in luoghi diversi dal laboratorio».
La prima volta che ho visto le vostre opere è stato su Instagram. Ammetto di esserne rimasta ammaliata. La scelta dei colori, dei materiali ma anche del font delle scritte immagino non sia casuale. Come avviene e da cosa è dettato?
«La scelta dei materiali e di specifici caratteri tipografici viene sia dalle nostre ricerche che da evidenze scientifiche. Ad esempio negli ultimi anni stiamo lavorando a superfici arricchite, visivamente tattili, che possano stimolare e aumentare l’esperienza del fruitore. Per questo motivo l’utilizzo dei fiori veri, di lane e altri materiali.
I colori utilizzati sono dettati o dalla natura del materiale (ad esempio i fiori che usiamo che in natura sono principalmente di alcuni colori) o dalla volontà di sperimentare particolari condizioni visive e percettive».
Con l’apertura de “L’Attesa”, il terzo atto di “Tre Scenari sulla Percezione del Tempo” si chiude un capitolo durato un anno. La mostra riflette sul “rapporto tra essere umano e ambiente, tra natura e artificio”, piuttosto costante nella vostra ricerca. Analizzando la risposta del pubblico ai vostri lavori e alle vostre opere, credete che sia effettivamente possibile una futura coesistenza tra esseri umani e intelligenze artificiali in cui sia scardinata l’idea della distanza e della diversità?
«Non sappiamo cosa ci riserva il futuro. Una cosa per noi è certa, qualsiasi cosa sia l’arte, essa può essere considerata come una scoperta, un avvenimento storico, o come la soluzione trovata ad un determinato problema. Ogni opera d’arte indica che c’è stato un problema al quale era stata data una soluzione e per la quale probabilmente verranno trovate nuove e ulteriori soluzioni. Essa, quindi, non può essere solo una bella pittura, una bella scultura e neppure l’ultimo ritrovato della tecnologia, essa deve incarnare un preciso e particolare modello di futuro.
Trovare nuove soluzioni è ciò che cerchiamo di fare con Numero Cromatico. Gli scenari che si aprono dinnanzi a noi sono infiniti ed imprevedibili, il nostro percorso racconta che in questi anni abbiamo guardato all’avvenire in maniera consapevole e coerente, integrando conoscenze, immaginando una nuova arte, provando a costruire un percorso di ricerca e di dialogo interdisciplinare. Siamo solo all’inizio, di ciò che verrà ne riparleremo volentieri se ne avremo l’occasione in futuro».