21 giugno 2022

Parcours a Basilea, una riflessione sulle urgenze contemporanee

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Come accade in FIAC Hors les Murs a Parigi, anche i Parcours di Basilea hanno il pregio di offrire ad un maggior numero di persone la fruizione di opere d’arte contemporanee, scelte e presentate nel tessuto patrimoniale e produttivo delle città

Les sièges du monde, di Alicja Kwade

Con le sue 21 installazioni inserite temporaneamente nella città di Basilea Parcours 2022 è arrivato alle sua dodicesima edizione. Nell’introduzione alla mostra dal titolo “How to Grow in Times of Change” Samuel Leuenberger, che da sei anni cura la manifestazione, si è fatto l’eco degli artisti che da ogni parte del monde integrano una riflessione sulle urgenze dei nostri tempi: dalla guerra nel mezzo dell’Europa, alla deforestazione, all’eradicazione dei popoli. Considerando che “viviamo in un periodo di cambiamento sismico”, l’idea è di impegnarsi ad esplorare il mondo contemporaneo cosi’ com’è, ma anche di dare espressione ai sogni e alle speranze.

Jimmie Durham, Arts, Media and Sports, 2010,
Ph: David Owens

Manon de Boer e la coreografa Latifa Laâbissi presentano Persona, un video di 31 minuti che sviluppa una performance di due minuti, realizzata nel 1926 dall’artista espressionista tedesca, Mary Wigman. Una luce caravaggesca illumina un personaggio dal viso mascherato e dal vestito che appare talvolta come un tessuto prezioso, ma più spesso come una corazza dalla quale Persona cerca di liberarsi. La metamorfosi visiva, dal tessuto alla corazza, avviene soprattutto grazie al suono metallico che accompagna il filmato.
L’opera di Jimmy Durham, nato nel 1940 a Houston (USA) e deceduto l’anno scorso a Berlino, ricostituisce all’ingresso della chiesa di Barfursser diventata museo, un sistema di sicurezza, qui disfunzionante come lo sono le soglie da un mondo all’altro. Il poeta-artista si è a lungo impegnato nei movimenti in favore dei diritti civici degli afro-americani e degli nativi americani. Anche Jeremy Deller esprime fortemente la questione dei diritti umani affiggendo sul muro dieci fogli bianchi listati a nero, come dei manifesti, sui quali è ripetuta una frase, in riferimento ad un luogo preciso di alcuni paesi, in una data determinata, sempre la stessa: It is World Human Rights Day (…) the 10th of December. Si tratta di Idlib province in Syria, di Evin a Teheran, di Riyadh, della rainforest dell’Amazonia, di Borno State in Nigeria e di diversi luoghi di altrettanti paesi. Parallelamente, in una sala del Teatro di Basilea sono proiettati tre documentari dal fortissimo impatto visivo: Our Hobby is Depeche Mode. Putin’s Happy, Everybody in the place: An incomplete History of Britain, Quest’ultimi riguardano le manifestazioni dirrompenti attorno alla Brexit.

Bosco Sodi, Tabula Rasa, per Art Basel Parcours

Nella sala centrale di un bar, Anna Hulacova assembla, come in un paesaggio di fantascienza,  sculture in cemento dalle forme ibride: fiori con atteggiamenti umani, macchinari improbabili. Con Les sièges du monde, ubicati in un giardino ameno, Alicja Kwade gioca sulla mimesi contradittoria, accoppiando sfere in marmo con diversi tipi di sedia in bronzo dipinto, tale da simulare un originale. Lungo il Reno Maria Loboda evoca The Year of Living Dangerously, con vari oggetti, una bicicletta, un carrello da supermercato, un tavolino rovesciato, copie di sculture note di Jean-Hans Arp, Dubuffet, Jeff Koons, lasciate all’incuria, come se fossero abbandonate su una spiaggia. Occorre sottolinare l’ironia del contesto. È noto che la Svizzera, a differenza di altri paesi, non usa lasciare negli spazi pubblici oggetti di scarto.
All’inizio del XXe secolo, la pratica abituale dell’agricoltura era di fare riprodurre in loco i semi raccolti nell’anno precedente. Dopo, le abitudini sono cambiate, i semi sono stati spediti da una parte all’altra del mondo, e si capisce, pour le meilleur et pour le pire. È questo l’oggetto della narrazione di un’ora nel film di Jumana Manna: la storia dei semi che attraversano il mondo tra guerra e pace, da Aleppo, al Libano, alla Norvegia. In Tabula rasa, Bosco Sodi depone sul suolo piccole sfere che racchiudono un seme di grano. Ognuno corrisponde ad un giorno dell’anno. Il visitatore è incorraggiato a portare via un seme per piantarlo nella sua casa e partecipare alla rinascita. Sul muro alcune tele sospese evocano il ciclo lunare, punto di riferimento dei contadini messicani.

Oscar Murillo, Social Cataracts, UBS Geschäftsstelle – Basel Aeschenvorstadt

All’interno della grande Hall della banca UBS, Oscar Murillo presenta degli appendiabiti da vetrina come sculture rivestite. Gli abiti, dai colori variegati. sono ornati da disegni a stampa o ricamati ripresi da quelli dei bambini. Accanto, si ergono dei quadri fissati come stendardi su delle sedie. Evocano i viaggi aerei intercontinentali, durante i quali l’artista disegna. Dopo avere segnato una facciata del centro con una scultura sottile, Katinka Boch occupa uno spazio interno con altre sculture e tele sospese di grandi dimensioni. Lasciate per lungo tempo, talvolta un anno, su un tetto sono state impresse dagli accadimenti atmosferici. La tinta blu originaria si è modificata.
La storia iconografica e iconologica è evocata in modo diverso da alcuni artisti. Matthew Lutz-Kinoy dipinge una rivisitazione figurativa, dai caduti dei Giudizi Universali ai putti, alla danza di Matisse. Presente anche alla Biennale di Venezia, il saoudiano Mouhannad Shono, con A song of silence, traccia al suolo le linee ondulate dell’ala di un arcangelo, composta da 400 gambi di palme dipinti di nero, legati da una corda. Si riferisce ad una storia narrata nella presentazione dell’opera: quella dell’arcangelo che voleva suonare la tromba e che trova il modo di farlo di nascosto.

Dead Weight, 2021, di Ron Mueck

L’australiano Ron Mueck, che vive a Londra, ha deposto davanti al Museo Storico, un grande teschio di 1.50 per 1.50, dal titolo esplicito, Dead Weight. Evoca evidentemente l’attualità drammatica ma si riallaccia anche alla tradizionale iconografia delle Vanitas. Timur Si-Qin ha installato, in un giardino, quattro scheletri di albero in metallo, rimanenze degli incendi in California. Essi tracciano un tentativo di rinascita, dopo i disastri.
Tobias Rehberger, ricrea un universo pop, fatto di disegni di luce colorata in un corridoio che conduce ad una cripta, dove nuvole-macchie si alzano dal suolo per diventare sculture bianche luminose. Un mondo sotto sopra insomma. Il britannico Simon Starling, installa nel nuovo parcheggio del Kunstmuseum, come in un rebus, due storie parallele, frammenti di vita lontana, attraverso foto, disegni, oggetti, una Fiat 125 special: quello del fondatore della Fiat, Gianni Agnelli, e quello di un quadro di Gian Battista Tiepolo, Mosé salvato dalle acque, tagliato in due all’inizio dell’ottocento. Una parte è conservata ad Edimburgo, l’altra è rimasta nella collezione Agnelli. La macchina esposta, quasi identica a quella che era appartenuta al fondatore dell’impresa è tagliata in due nelle stesse proporzioni del quadro di Tiepolo. L’opera è stata presentata anche a Torino.
Come nella FIAC Hors les Murs di Parigi, questo genere di organizzazione ha il pregio di offrire ad un maggior numero di persone la fruizione di opere d’arte contemporanee, scelte e presentate nel tessuto patrimoniale e produttivo delle città. È bene precisare che grazie alla collaborazione fra poteri pubblici e privati l’accesso è gratuito e presenta una riflessione sulla ricerca artistica attuale. Un‘esperienza che riequilibra il sentimento di estraenità talvolta provato da parte di un pubblico che non visita le fiere, anche per l’elevato costo del biglietto d’ingresso per i non addetti.
In confronto alla più famosa Unlimited, che ha certamente una bella storia, Parcours non gode della stessa attenzione da parte della maggior parte della stampa, anche specialistica, ed è spesso assente dalle presentazioni giornalistiche. Quest’anno nel vasto spazio di Unlimited si notano un numero a mio parere esponenziale di opere ingigantite. Sarà il contesto dell’attualità ma non possiamo non interrogarci sulla fondatezza di una scelta improntata ad una monumentalità esasperata e sottrarci al sentimento che un’installazione che si estende oltre misura, da presenza monumentale diventa ingombrante al punto di evocare i tentativi di estenzione a dismisura dei nostri tempi.

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