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Other identity #16. Altre forme di identità culturali e pubbliche: intervista a Paula Sunday
Fotografia
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana abbiamo raggiunto Paula Sunday.
Other Identity: Paula Sunday
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Credo che invece di cercare una qualche forma di spettacolarizzazione l’arte debba ricercare la verità. Spesso nel compromesso tra rappresentazione e significato e, tra opera e ciò che il pubblico desidera, perdiamo di vista il senso delle cose. La rappresentazione nel mio lavoro, sono io. Credo che in generale sia il corpo (o la materia) la mia sola forma di rappresentazione possibile».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Il discorso sull’identità credo sia abbastanza complesso soprattutto per chi, come me, lavora con l’autoritratto. Non amo troppo le definizioni che rischiano di rimanerti appiccicate addosso come etichette. L’identità, tema centrale in questi anni (sia a livello culturale, sociale, politico e antropologico), resta una cosa mutevole che si forma giorno dopo giorno. Inoltre, il discorso sull’identità non ha più a che fare con il singolo ma a mio avviso rientra in un discorso di massa. E come tale è soggetto ormai a cambiare continuamente. È diventato “bene di consumo”».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Sono una persona abbastanza riservata (a livello sociale) ma cerco comunque di creare una certa aderenza tra essere e apparire. Credo che ormai siamo abbastanza allenati da riuscire a demolire e smascherare ogni forma di finzione sociale. Per cui direi che mi concentro per prima cosa sull’essere, l’apparenza dovrebbe essere solo una legittima conseguenza. Chi ricerca o da troppa importanza all’apparenza pubblica rischia perdere di vista se stesso e la propria reale identità, rischia di entrare in quel meccanismo spersonalizzante che tutto fagocita.
Dare troppa importanza all’apparenza significa in un certo senso omologarsi ad un sistema, abolire ogni forma di diversità. I modelli di riferimento sono cambiati ma non è detto che tutti si riconoscano».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Il valore massimo di ogni rappresentazione credo sia sempre l’onestà, la chiarezza di intenti. Aleksandr Solženicyn, in “Vivere senza menzogna” diceva che “se gli uomini ripudiano la menzogna, essa cessa semplicemente di esistere. Come un contagio, può esistere solo tra gli uomini” E ovviamente in ogni forma di rappresentazione umana.
E’ chiaro che tutto ciò che ci circonda, ciò che ci ha formati, contribuisce a definire la nostra identità sociale. Se si è abbastanza ricettivi da assorbire la quantità enorme di stimoli a cui siamo sottoposti dobbiamo anche essere in grado di tirare le somme e fare delle scelte».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Dipende dalla definizione del vocabolario a cui vogliamo attenerci. Bisognerebbe definire prima il concetto di artista. Credo di si. Ovviamente come tutti sono tante altre cose».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Sicuramente un’identità non conforme alle regole. Qualcuno in grado di essere in controtendenza e di cantare fuori dal coro».
Biografia
Paula Sunday nasce a Napoli il 19 gennaio 1981, lo stesso giorno in cui Francesca Woodman si tolse la vita nel suo appartamento di New York. Con la Woodman condividerà non solo questa data, ma l’utilizzo del medium fotografico e del corpo come strumento di rappresentazione.
Fin da adolescente Paula manifesta un particolare interesse per l’arte figurativa. Il suo percorso di formazione artistica inizia in giovane età. I suoi studi termineranno nel 2010 con una specializzazione in Fotografia come Linguaggio D’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Nello stesso anno riceve due importanti riconoscimenti: con Fabbrica vince il Premio Nazionale delle Arti nella sezione fotografia e con il video Madre si classifica prima al Premio Celeste nella categoria video.
Ha partecipato a numerose esposizioni collettive in Italia e all’estero, (Berlino, Parigi, New York, Cairo) ed ha al suo attivo diverse pubblicazioni. Ha inoltre partecipato alla 54ma Biennale di Venezia (Padiglione Accademie) curato da Vittorio Sgarbi. Nel 2010 viene inclusa nel catalogo Annual Young Blood – Talenti Italiani Premiati nel Mondo, ne Lo stato dell’Arte edito da Skira e nel 2017 viene inserita in L’Atlante dell’Arte Contemporanea a Napoli e in Campania 1966-2016 edito da Electa. Attualmente Paula Sunday vive e lavora tra Napoli e Milano