03 agosto 2022

Aboudia e Dubuffet si incontrano da Phillips X, con Different Throws of Dreams

di

Dieci dipinti di Aboudia in dialogo con le opere di Jean Dubuffet. In un periodo d'oro per il mercato dell'artista ivoriano, tra i più grandi nomi dell'arte contemporanea africana

aboudia phillips
Aboudia, Untitled, 2022. Courtesy: Phillips

Un confronto, uno schianto, ma anche un affrancamento, una sfida, la consapevolezza dei propri tratti unici e peculiari. La piattaforma di mostre e di vendita Phillips X presenta Different Throws of Dreams: Aboudia x Dubuffet, una lente di ingrandimento su 10 dipinti dell’artista ivoriano Aboudia (alias Abdoulaye Diarrassouba) messi a confronto con le opere di Jean Dubuffet. In altre parole: arte ultra contemporanea che dialoga senza indugio con la ricerca di ormai mezzo secolo fa. Dove: nelle gallerie londinesi di Phillips, in Berkeley Square, pronti per le private sales. Quando: nel pieno dell’estate, dal 10 al 31 agosto. Ed è una buona occasione per puntare lo sguardo sulla vernice fresca, ovviamente, sul suo mercato, di cui la maison si conferma, anno dopo anno, regina indiscussa e abilissima promotrice.

«Con il loro squisito modo di riflettere la realtà», dice Maura Marvão, International Specialist 20th Century & Contemporary art di Phillips, Portugal & Spain, «i dipinti di Aboudia fanno appello alla nostra empatia e alla nostra capacità di vedere e trasformare la realtà prendendo ispirazione dalla visione dei bambini – dalle loro voci e dalle loro esperienze». E aggiunge: «Il lavoro di Aboudia è molto ricercato. Oltre a far parte di rinomate collezioni su scala globale, il suo lavoro è stato paragonato a quello di artisti celebri, tra cui quello di Jean Dubuffet».

Un’occhiata ad Artprice e la conferma arriva rapida e decisa: a partire dal suo record d’asta, Untitled (2018), che esattamente un mese fa, da Christie’s Londra, ha tagliato il traguardo di £ 504.000 (su una stima di £ 40.000 – 60.000). E poi ancora Haut les mains (2020), che sempre da Christie’s, all’inizio dell’anno, passava di mano per £ 378.000 – mentre Take me II (2022), da Phillips, trovava a giugno un acquirente per HK$ 2.520.000. Un fatturato 2019 di $ 570.720, $ 7.8 milioni raggiunti nel 2021 e superati di nuovo, con $ 8.8 milioni soltanto nel primo semestre 2022; il sostegno di Jean Pigozzi e Charles Saatchi, con esposizioni dedicate, puntuali; la partecipazione alle maggiori fiere internazionali, da Art Basel a Basilea a Miami, ma anche 1:54 a Londra, New York e Marrakech, tutta incentrata sull’arte africana. «Questa mostra ci permette di capire cosa hanno in comune i due artisti», ribadisce l’esperta, «cosa li distingue e cosa li rende unici».

Aboudia, Untitled, 2020. Courtesy: Phillips

Ed eccola dunque l’unicità di Aboudia (Abengourou, 1983), che torna sul tema dell’infanzia per indagare la guerra e la povertà. C’è un attaccamento alle origini profondo, viscerale, tra le costanti del suo lavoro, lo sguardo vivo, sempre inchiodato sulle vicissitudini di Abidjan e della Costa d’Avorio – anche quando è assediata dai proiettili, pericolosa e invivibile, e allora non resta che rifugiarsi in cantina, e poi trasferire su tela quello che ha visto. Ci sono i materiali trovati per strada a raccontare le sue storie, a tessere la narrazione di quei destini incrociati: a partire dai rifiuti, dal ferro ondulato – modellato chissà dove – e ancora i giornali, le riviste, i libri di scuola, il carboncino, per una resa a strati di materia e di memoria. Un mix originale tra i graffiti urbani di Basquiat e le sculture in legno dell’Africa occidentale, dice la critica. E poi ovviamente una rielaborazione tutta nuova – la chiama Nouchi l’artista, come lo slang della Costa d’Avorio, una fusione irregolare, colloquiale, familiare, tra vocabolario francese e linguaggio ivoriano.

Cambio di scenario, si passa – o meglio: ci si scontra senza preavviso – con l’Art brut di Jean Dubuffet (Le Havre, 1901 – Parigi, 1985). Occhi grandi, bocche carnose, gesti marcati, calcati, materici, incisivi. Una forma di espressione spontanea la sua, ingenua – a tratti infantile – lontana da definizioni, da qualsiasi condizionamento culturale. Arte brutale, grezza, e tanto deve bastare. Un’arte brutale incoronata con un record assoluto da $ 24.8 milioni (Christie’s, 2015), mica male. «Utilizzando materiali trovati in modo non ortodosso e stratificati con pittura e carta, l’opera di Dubuffet ripercorre la sua evoluzione personale durante i significativi cambiamenti culturali e artistici del secolo scorso», spiegano da Phillips. «Non c’era gerarchia nel suo mondo, un mondo in cui le convenzioni venivano infrante e i soggetti storicamente sottorappresentati e trascurati venivano portati alla ribalta». Ancora: «Dimostrando che la creatività può fiorire anche nei luoghi più improbabili, Dubuffet ha creato un proprio linguaggio d’arte deliberatamente brutto, crudo». Eppure immediato, cruciale.

É chiara l’assonanza, i riflettori puntati sul lato più squallido, fragile, vulnerabile della vita cosmopolita; le caricature grottesche che sfidano gli standard culturali; ancora, l’uso di oggetti di scarto della vita quotidiana. Forti, a confronto, nella mostra di Phillips X. Ognuno con le proprie spigolose unicità.

Jean Dubuffet, Paysage Amoncelé, 1968. Courtesy: Phillips

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui