-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Cielomare a Matera. Intervista doppia a Ilaria Abbiento e Giuseppe Ciracì
Arte contemporanea
Momart Gallery è uno spazio-grotta scavato nel tufo del centro storico di Matera, congeniato per l’arte contemporanea e particolarmente accogliente. Laddove l’elemento ‘terra’ è tra i Sassi sicuramente predominante, in questa estate e fino al 21 agosto la gallerista Monica Palumbo presenta un percorso tra cielo e mare, anzi detto “Cielomare” – così tutto attaccato e senza prevedere una linea divisiva dell’orizzonte –, una riflessione ad arte tra fotografia e pittura di Ilaria Abbiento (Napoli, 1975) e Giuseppe Ciracì (Brindisi, 1975), insieme.
«Punto di partenza è l’imperituro dialogo tra arte e natura – scrive il curatore Carmelo Cipriani nel testo in catalogo Sfera Edizioni – ma anche quello tra volontà di rappresentazione e necessità di trasfigurazione. Entrambi gli artisti muovono dal dato naturale per poi astrarsi in un discorso che si fa storico, antropologico, interiore, finanche esistenziale». Un tutt’uno, si diceva, già annunciato dal titolo, che afferma l’incisività di certe mostre bipersonali in cui si allineano lavori diversi ma estremamente coesi.
Giuseppe, Ilaria, le vostre opere sono tra loro in rapporto organico ed efficace, le avete pensate insieme o vi siete ritrovati a posteriori per questa mostra?
G.C. Il dialogo con le fotografie di Ilaria Abbiento prima di tutto direi che è sentimentale, intimo, sottile. Parte dal nostro primo incontro, entrambi eravamo in una residenza artistica a Cosenza nel 2015, e ci siamo ritrovati a lavorare, seppur con linguaggi e mezzi differenti, tu temi e poetiche molto affini. Durante il periodo del lockdown abbiamo rinforzato questo nostro dialogo pensando, immaginando e costruendo Cielomare.
I.A. Nel condividere con Giuseppe l’esperienza in residenza, presto ci siamo resi conto che i nostri pensieri e riflessioni confluivano meravigliosamente nell’essere entrambi affascinati dall’elemento acquatico. Fino a condividere un “azione poetica” sul Crati, dove Giuseppe ha immerso le sue carte nel fiume ed io ho conservato l’acqua in un ampolla di vetro, forse con l’intento, per ciascuno di noi, di lasciare un segno della nostra presenza, nella memoria di quell’incontro e del nostro “attraversamento” in quella clessidra temporale. Ne è nato un continuo congiungersi di sperimentazioni e di interpretazioni analoghe nella spirale della poetica dei nostri lavori, in modo del tutto naturale come è avvenuto nella mostra a Matera, dove le opere rappresentano l’esito di un componimento dialogico spontaneo, come accade quando il mare incontra il cielo, o viceversa.
Ilaria partiamo dal mare, tra dettagli e vedute, nelle tue opere fotografiche. È per te più un’ispirazione poetica o l’oggetto di un’osservazione metodologica?
I.A. È difficile racchiudere in poche parole ciò che per me rappresenta il mare. Amo definirlo come emulsione liquida del mio oceano interiore unendo così ispirazione e osservazione, come congiunzione ancestrale tra l’essenza della mia esistenza con l’elemento dell’acqua. Tutta la mia ricerca artistica, da dieci anni ad oggi, coniuga poesia e metodica nella scrittura fluida di un’antologia acquatica che attraverso le mie opere, nel tempo, possa descrivere e raccontare i miei moti ondosi e l’evolversi della mia “presenza” su questa Terra.
Nei campi visivi che scegli, come concepisci il concetto di orizzonte? Come costruisci le tue visioni?
I.A. Potrei risponderti condividendo il pensiero di Frida Kahlo: “Non fare caso a me. Io vengo da un altro pianeta. Io vedo orizzonti dove tu disegni confini”. Le mie visioni trascendono dalla dimensione del reale, lo attraversano ma navigano verso rotte e cartografie immaginarie in cui sogno, utopia e continua sperimentazione disegnano una geografia di pensiero che oltrepassa le barriere per divenire libera interpretazione di un paesaggio interiore, raffigurato concettualmente nelle mie opere, che trova respiro altrove.
Che rapporto hai con il colore nella tua pratica artistica?
I.A. Il mio “azzurro esercizio quotidiano” consiste nel metodo e nella pratica di un’osservazione costante del mare, dei suoi moti ondosi, delle sue tempere, comparandolo con il flusso e le sfumature dei miei stati emotivi e delle mie esperienze esistenziali. L’azzurro, in tutte le sue tonalità, è il colore che amo di più, ed è quello che più di tutte le altre tinte riesce a narrare e a tradurre la poetica della mia ricerca. Sarà perché viene associato alla spiritualità, alla trascendenza, all’idealismo e al mare in cui da sempre mi perdo per ritrovarmi.
Giuseppe incontriamo poi il tuo blu, risultato dalla trasformazione “naturale” della materia, come lo ottieni?
G.C. I lavori, realizzati a partire dall’anno 2014 fino ai più recenti del 2022, sono carte o tele a tecnica mista dove il mio intervento si innesta su superfici alterate e macerate dall’azione della Natura che colora, tempera, accudisce e prepara il lavoro. L’acqua, il sole, il vento e, talvolta, anche la neve della Puglia, sono intervenuti direttamente modificando e trasformando il supporto. Il blu ottenuto, pertanto, è il risultato naturale dell’azione del tempo su queste carte che, a contatto con gli agenti atmosferici, perdono progressivamente tutti i colori ad eccezione di uno, quello più resistente alla luce, il ciano appunto!
Compi delle “immersioni” storico-artistiche attraverso dei ritagli visivi, tra forme figurative e procedimenti astratti, come costruisci le tue immagini?
G.C. L’impianto compositivo attraverso il quale convivono insieme ritagli di pagine di libri, brani di anatomia e liberi interventi pittorici quasi astratti, vengono attentamente studiati e calibrati nell’insieme del tutto. L’opera, in questo modo, viene costruita con la consapevolezza di dover equilibrare insieme tutti questi elementi per approdare all’epifania dell’evento artistico. Alle opere su carta si alternano dipinti su tela dove il procedimento, il modus operandi, è quello consolidato dei miei collage costruiti nei riferimenti ai maestri del passato.
Un livello di lettura possibile delle tue immagini sembra essere la fragilità del corpo, personale e sociale, nello scegliere anche di rappresentare parti di questo… come mani e piedi piuttosto che volti.
G.C. Da sempre, fin dagli esordi, ho focalizzato la mia attenzione sul ritratto e lo studio del corpo, dapprima visto in forme ancora accademiche poi, reinterpretato, in modo del tutto personale.
L’indagine pittorica avviata a partire dal 2017 è una riflessione intima sulla luce, la natura e il rapporto con l’uomo, maturata negli anni di trasferimento da Milano al Sud, in Puglia. Al centro o ai margini di queste nuove composizioni si posano lievi, talvolta disegnati a matita, a sanguigna o con il pastello bianco, brani anatomici. Sono mani e piedi, porzioni di arti ritratti all’interno di una sfera intima e amicale che, nel loro afferrarsi e sfuggirsi, toccarsi o sfiorarsi, uniscono passato e presente e ricordano, con delicatezza e grazia, l’ineluttabilità dello scorrere del tempo, avviando, pertanto, una riflessione intima sull’esistenza attraverso la trasformazione della materia (il corpo) tra pieni e vuoti, dubbi e certezze, vita e morte, Eros e Thanatos.
La mostra si struttura nell’accostamento di vostri numerosi pezzi, ce ne sono di inediti?
G.C. Sono diversi i lavori inediti pensati e concepiti durante questo nostro profondo dialogo a distanza: “A mezz’aria”, una piccola tela del 2022, parte proprio dalle sospese e intime visioni di Ilaria e dalla lettura di “Mare assoluto”, una bellissima poesia della scrittrice brasiliana Cecilia Meireles. Inedita è “U cry (ne)” sempre del 2022 che vuole riflettere sul senso della storia attraverso l’attuale conflitto in Ucraina, delineata nei suoi contorni geografici da una successione di fori su tela, rievocativi dei colpi di arma da fuoco.
«La ricerca sui tempi trascorsi, quelli antichi della storia dell’arte per Ciracì, quelli primordiali del mare e del sapere ad esso legato per Abbiento – chiarisce Cipriani –, non esclude però che il loro lavoro si apra al presente, che cerchi con esso un dialogo di confronto e chiarimento». Mare e cielo vengono ad essere non tanto e non solo elementi da ritrarre ma soggetti da interpretare.