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Stupore della scultura, festa e catastrofe di Diego Cibelli alla Galleria Artiaco
Mostre
di Fabio Avella
Lo studio, la ricerca, il racconto territoriale di un fasto antico, di un’espressione regale che inaugurava un periodo nuovo, il Regno di Napoli sotto Carlo di Borbone, confluiscono in “Festa e Catastrofe”, prima mostra di Diego Cibelli alla Galleria Alfonso Artiaco. Affiancato da un team di maestranze specializzate nella foggiatura e nella formatura, l’artista nato nel 1987 ha realizzato più di 30 stampi in gesso e in esposizione sono presenti sculture inedite in ceramica e porcellana, suddivise in un percorso celebrativo: Fuochi d’artificio, L’idea del trionfo, Commensalità, Rappresentazioni di gala. Un cerimoniale, questo, ben collaudato e che ha sempre rappresentato la valenza politica del Regno di Napoli nei suoi sfarzosi anni preunitari, dove la magnificenza era trasmessa tramite sperimentati protocolli che prevedevano feste e ornamenti strutturati in maniera tale da manifestare la sontuosità regale di un’identità, che si rafforzava oltre le mura di palazzo e travolgeva, rendendole partecipe, le masse.
Il percorso festante si compie tra le sale della galleria che alloggiano le opere, a simulazione di un’euforia collettiva che ha la sua esplosione in quei totemici fuochi d’artificio che sempre hanno avuto la funzione di regalare stupore nonostante i drammi vissuti, quotidianamente, dal popolo. Una parte di quei stratagemmi formali che nascondevano i veri problemi, materiali, a cui dovevano far fronte i sudditi di una corona che ben dissimulava la precarietà dell’esistenza nei propri confini. Questioni che venivano sovvertite da feste che regalavano attimi di unità e momentanea opulenza, ove il cibo diventava momento di regalia faticata tramite l’accaparramento fortuito di una partecipazione a una giostra, ad esempio il palo della cuccagna.
I festoni di frutta e verdure presenti nella saletta successiva ai fuochi esplosi, sembrano che in parte ne siano testimonianza, anche se sono comunque il legame a un altro aspetto della cerimonia, quello che ci introduce all’interno della corte e a quel momento collegato ad un ulteriore attimo dei festeggiamenti: il rapporto diretto con gli esponenti delle classi privilegiate. Quindi nella successiva grande sala, adornata quasi a rivivere un banchetto a corte tra saloni decorati e dame danzanti, sono riposti su di un piano continuo una serie di “ricordi”, intitolati Trionfo, simili a vasi, a parti di cornice, a decori d’epoca e a vegetazione creati in porcellana a volte mista ad ossidi vulcanici, oppure in ceramica.
Chiude il sofisticato apparato, ispirato dallo studio dei disegni per giostre e fuochi d’artificio dell’architetto Antonio Niccolini, dopo aver oltrepassato la fontana assemblata in ceramica e ruota di carro lignea, una carrozza decostruita che si definisce alla fine del “corteo” regale sulla parete dell’ultima stanza della galleria.
La festa, come parte integrante della catastrofe, che si risolve in ventiquattro ore, si determina nel fermento della vita di un popolo che ripone l’angoscia nei momenti di gioia, dirimendo le questioni fondamentali nella semplicità del convivio. A differenza della catastrofe che perdura nel tempo, e sottolineata dall’artista nel vuoto cromatico delle sculture delineate attraverso i toni dei grigi e finanche il nero, a manifestare la continua decadenza di una terra che dissimula le difficoltà nell’apparente sfarzo.