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‘Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo’: 170 ritratti fotografici a Villa Manin
Mostre
di Emma Drocco
«Non appena mi sento guardato dall’obiettivo, tutto cambia […] mi fabbrico istantaneamente un altro corpo […] io sento che la fotografia crea o mortifica a suo piacimento il mio corpo» (Roland Barthes. La camera chiara, Torino, Einaudi, 1980, p. 15)
Una lotta segreta, tra il corpo modificato e ricostruito del poeta e la macchina fotografica, Barthes la definisce nella teoria, ma Pasolini lo anticipa nella pratica. L’artista che più di tutti è stato “sotto gli occhi del mondo” nel 900 non poteva che ritrovarsi impigliato nella fotografia, catturato dagli obiettivi più famosi del secolo, Richard Avedon, Herbert List, Henri Cartier-Bresson e tanti altri.
Il risultato non può essere un percorso logico e coerente, ma un insieme di mondi, mostrati tramite gli scatti, ma soprattutto ricostruendone il contesto, con articoli, materiale d’archivio, interviste.
Con una doppia sede tra la Villa Manin di Passariano e il Centro Studi Pier Paolo Pasolini a Casarsa della Delizia, ha da poco inaugurato la mostra “Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo”, frutto del lungo lavoro della curatrice Silvia Martin Gutierrez, e del comitato scientifico, presieduto da Marco Bazzocchi.
170 ritratti inediti accompagnati da preziose testimonianze video, interviste e inedite sequenze audio, un importante contributo di Cinemazero.
Lo scopo di questo lavoro è tra gli altri quello di non consegnare al pubblico un’icona vuota, non mostrare solo delle belle fotografie, ma un contesto, una documentazione che possa raccontare al più nel profondo un personaggio così complesso.
«Ma insomma chi è questo Pasolini?» si chiede Franco Calderoni in un’intervista del 16 dicembre 1961 sul giornale Tempo, fatta nella casa dello scrittore. Forse colui che riesce a leggere il mondo fotografandolo prima con le parole, poi con la macchina da presa, ma anche il personaggio che si serve della fotografia come mezzo espressivo sfruttandola per raccontare e raccontarsi.
Se alla domanda di Calderoni è impossibile dare una risposta certa ci si può provare a chiedere, più nello specifico, qual è il rapporto di Pasolini con la fotografia. Anche qui ci si addentra in un territorio complesso, di certo non gli è indifferente, la usa, ma forse, troppo legato alla cultura pittorica dopo gli anni universitari sotto il magistero di Roberto Longhi, fatica a concepire un’effettiva autonomia di questo mezzo. Lo stesso definito in modo sprezzante da Baudelaire come “palestra di pittori mancati”.
Questo può spiegare la mancanza di scritti dell’autore a riguardo, se non pochi spunti in alcune interviste, ma allora come possono convivere queste idee con le migliaia di foto e di servizi di cui è soggetto?
Non sappiamo come Pasolini si sarebbe auto rappresentato con la macchina fotografica, né tantomeno quali fossero le sue preferenze su come essere ritratto. È sempre diverso da come ci potremmo aspettare di vederlo, immortalato nelle vesti di un ragazzo di “college” che cammina per le strade di New York, portandosi dietro il rumore della strada, da Pallottelli e subito dopo in una statica posa su sfondo neutro nello studio di Avedon, sempre qualcosa “altro” rispetto a ciò che ci si aspetta.
Utilizzando le parole di Roland Barthes, si può dire che la fotografia con la sua aura particolare è in grado di definire la persona fotografata, renderla riconoscibile agli altri, ma anche a sé stesso. A Pasolini va riconosciuta una grande abilità nel plasmare l’immagine che dava di sé, quello che si può dire un soggetto-attivo, capace di influenzare lo stile, e probabilmente ha trovato nella fotografia il mezzo migliore per condividere la sua immagine e il suo personaggio.
Il progetto presentato nella mostra “Pier Paolo Pasolini sotto gli occhi del mondo” è il frutto di una lunga ricerca della curatrice «prima di iniziare il dottorato mi sono accorta che la fotografia era un campo ancora da studiare, soprattutto nei tempi attuali le fotografie girano senza un contesto, si rischia di creare un’icona vuota di Pasolini dunque ho cominciato a fare un archivio personale, contattando fotografi, archivi , per avere un po’ di informazioni, è stato molto importante leggere gli articoli, per mettere in contesto i momenti in cui Pasolini è stato fotografato».
Il percorso che si snoda all’interno della barchessa di Villa Manin, inaugurata per l’occasione, porta lo spettatore in un ambiente raccolto, che permette di entrare nell’intimità dell’artista, i cui scatti inediti, suddivisi per nuclei tematici, raccolgono le più interessanti testimonianze dei suoi viaggi nel mondo e le riportano nel suo Friuli, «in chel spieli Ciasarsa- coma i pras di rosada- di timp antic a trima» in occasione dei 100 anni dalla sua nascita.
Un insieme di sguardi, tutti diversi, italiani ed internazionali a confronto, arricchiti da interviste e video inediti permettono di apprezzare il cambiamento che ha subito Pasolini, fino ai suoi ultimi scatti, a Stoccolma, il 30 ottobre 1975, pochi giorni prima di essere assassinato. Un’espressione seria e impenetrabile che rapisce lo spettatore, con quegli occhi «come due biglie di vetro, come di sasso, senza un gesto, completamente inespressivo», «ho ancora la sua immagine impressa nella memoria: i suoi occhi castani, luminosi, lo sguardo penetrante e il suo sorriso imperscrutabile» come ricorda il fotografo Lütfi Özkök.
In parallelo, il centro studi Pier Paolo Pasolini presenta un secondo percorso, quello sulle case romane dello scrittore, mostrandoci un’ulteriore punto di vista, quello che dalla figura pubblica, ci trascina nell’intimità dell’artista, mostrandolo negli interni delle sue case private.
Un autore da sempre in “fuga”, che non vuole farsi catturare da un’unica prospettiva, che impedisce di definire un’immagine chiara di sé stesso, la sfida che la mostra propone è quella di un dialogo tra prospettive diverse, che ingloba il visitatore.
«E per concludere, tutto quello che ho detto, l’ho detto a titolo personale. Se ne parlerete con altri italiani loro vi diranno: “Quel pazzo di Pasolini».