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Ossessioni, il “katalog” è questo. Almeno secondo Barbara Iweins
Fotografia
L’incontro con il lavoro della fotografa Barbara Iweins è stato casuale quanto fulminante. Esposta in una contenuta galleria di Arles, durante il prestigioso e mai deludente festival di fotografia Les Rencontres d’Arles, la piccola personale è stata motivo di divertenti quanto amare riflessioni. Casuale, perché l’indirizzo riportato sulla mappa del festival non era preciso e non era agevole individuare lo spazio. Fulminante, perché un lavoro della portata e della mole (e quindi del tempo) di quello esposto dalla fotografa belga, colpisce proprio come un fulmine a ciel sereno. E la stessa reazione si avverte visitando il suo sito. Praticamente sconosciuta in Italia, ha iniziato la sua carriera nella capitale olandese, dove ha vissuto diversi anni, per poi stabilirsi definitivamente a Bruxelles. Una carriera di fotografa iniziata oltre una decina di anni fa, allorquando non ha più potuto trascurare una delle sue ossessioni: conoscere i pensieri e le azioni, le paure e le gioie degli sconosciuti che fortuitamente incontrava per strada. Interessata, quindi, ai confini dell’intimità e di come, eventualmente, possano essere travalicati, ha chiesto a questi estranei di poterli fotografare con un obiettivo da 50mm. In questo modo ha realizzato oltre trecento ritratti, raccolti nel progetto Au coin de ma rue. Ma il suo interesse per queste persone è andato ad aumentare e, ad alcuni di loro, circa una trentina, ha chiesto di conoscerli più approfonditamente, di entrare nelle loro vite, nell’arco di cinque anni. Ogni anno li rincontrava, con un progetto diverso. Fino ad arrivare al più intimo 7.00/19.00: fotografare quelle stesse persone nel momento di passaggio tra il massimo abbandono e la veloce presa di coscienza, che risiede nell’esigua manciata di secondi che intercorrono al momento del risveglio.
Perciò ha chiesto di dormire da loro o, viceversa, che loro andassero a dormire da lei, per poter catturare quei pochi attimi fuggevoli. Dopo questi lunghi anni rivolti all’esterno, nel 2018 Barbara Iweins ha rivolto la propria attenzione verso se stessa, facendo entrare la sua sfera intima e privata nel pubblico. Ed è allora che è nato lo stupefacente progetto Katalog. Straordinario quanto colossale. E nel sito, i dodici minuti necessari affinché il contatore contabilizzi i 12.795 oggetti catalogati, esaurientemente lo attestano. Per due anni, per quindici ore a settimana, ha fotografato ogni oggetto della sua casa, confrontandosi con tutto quello che possiede, classificandolo con criteri ben precisi: colore, materiale, frequenza di utilizzo, stanza in cui sono collocati e, infine, “cosa salverei in caso di incendio”, per misurarne finalmente il valore affettivo. Constatando quella “sicurezza degli oggetti”, da cui molti traggono forza.
Attraverso tale rigida organizzazione dei suoi scatti, Barbara Iweins, con lapidarie considerazioni, ci pone di fronte a quelle ossessioni che, alla fin fine e con sfumature diverse, riguardano ognuno di noi. Costringendoci, allo stesso modo, a riflettere su come il consumismo incontrollato condizioni il nostro quotidiano nella sua totalità. Chi, infatti, non ha riposto in qualche cassetto, o nell’armadio, oggetti intonsi ancora sigillati nella loro confezione? Oggetti che ha usato una sola volta, oppure dimenticati di avere fin quando, inaspettatamente, ritrovati tra le mani? Nonostante lo spazio a disposizione per la mostra fosse veramente piccolo, una brillante soluzione ha ovviato a questo inconveniente logistico: le facciate di cubi, di diverse grandezze, che aumentano così la superficie utilizzabile, sono state ricoperte dalle piccole immagini di questi oggetti catalogati, suddivisi nelle diverse categorie predisposte dall’artista, accompagnate da brevissimi motti equivalenti ad asciutte e incontestabili sentenze, con percentuali che ancora di più offrono la misura dello stato delle cose.
“Il 4% degli oggetti della casa sono in vetro”; “lo 0% dei coperchi corrisponde alla taglia delle mie casseruole”; “il 90% dei guanti si perdono entro le due settimane seguenti il loro acquisto”; “il 16% degli oggetti della mia casa sono blu, è il colore dominante della mia abitazione”, “lo stampo dei miei denti è l’oggetto che ho avuto più difficoltà ad esporre in questo progetto”; “il 40% delle forchette atterrano inevitabilmente nella stanza di Julia o di June”, “il 56% degli oggetti della casa non sono mai stati utilizzati”, e così via. Ovviamente ogni nuovo oggetto che entrava in casa, non veniva fotografato, perché altrimenti sarebbe stato un lavoro che avrebbe continuato all’infinito. Inoltre, per evitare di fotografare due volte lo stesso oggetto, ciascuno veniva segnato con un post-it e, finita tutta una stanza, con precisione chirurgica, passava con la sua visione microscopica alla successiva, fino a scandagliare tutti gli ambienti della sua casa. Quella di Barbara Iweins, di catalogare, organizzare, ordinare, di certo non è un’ossessione né nuova né unica, avendo da sempre l’uomo il bisogno di classificare per contenere e dominare. Ma la sua, in una certa misura, offre imprevedibili indizi anche per una diversa visione di se stessi e consente, addirittura, di scoprire cose inaspettate del proprio intimo. Una sorta di terapia, senza l’esosità di un terapeuta.