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Zoe Williams, Capital vice – ABC-ARTE
Arte contemporanea
A fiuto, il lavoro di Zoe Williams (Salisbury, 1983) può essere percepito come abbastanza “divisivo”. E quando un prodotto artistico è potenzialmente portato a far discutere le masse, già di per sé risulta interessante da approfondire. Poi Capital vice, la sua prima personale allestita da ABC-ARTE (curatela di Luca Bochicchio), è un progetto “caldo”, accogliente. Più che una mostra è un’esperienza sensoriale.
Sarà merito dell’odore d’incenso che pervade le sale? Forse. Saranno le luci, che soffuse e colorate fanno risaltare solo l’occorrente, creando l’ambientazione perfetta? Anche. La certezza è che l’artista si è dimostrata doppiamente furba, organizzando il tutto come un’organica macchina scenografica. Da un lato, questo meccanismo fa la differenza tra una mostra efficace e una piatta, mettendo l’acquolina in bocca e aumentando la voglia di spostarsi di sala in sala. Dall’altro, fa gioco all’artista, rendendo superflua la distinzione tra pezzi più riusciti e un po’ meno riusciti. Per gli altri s’intende, non per noi.
Ma se la riuscita o meno di alcuni pezzi è cosa fondamentalmente opinabile, non lo è la maturità con cui Williams si pone nei confronti del medium. Williams non straccia la ceramica, non pretende di cavarne fuori un linguaggio visuale testardamente contemporaneo. Fa tutto il contrario, lavorandone ossequiosamente la storicità, e costruendo attorno a questa la sua armatura iconografica. Nei circa 90 giorni di residenza artistica nello Studio Ernan Desing di Albisola, dove sono nate le opere di Capital vice, Zoe ha agito anzitutto nel rispetto della materia e della tecnica. Poiché padroneggiare un medium, allo scopo di renderlo proprio, è certo importante per massimizzare la sua resa. Farlo proprio avendone rispetto ancora di più.
Capital vice. L’immagine antica del vizio moderno
Un’estetica in antitesi col presente. Williams tratta il vizio contemporaneo come vivesse nell’ancien régime, dando vita a un dettato iconografico-stilistico che è tutto un fioccare di citazioni, vere o presunte. Chiamatele pure suggestioni, come quella ghost track caravaggesca in Figure of vice 3, busto la cui testata di capelli-serpenti è animata con la stessa agitazione della Testa di medusa del pittore lombardo. O quella dell’altro busto, Figure of vice 1. Ancora più interessante rispetto al primo, perché maggiormente “vissuto”; a tal punto che, in ogni riccio, si riesce a percepire il gesto carnale di una Williams che puntella con le dita la terracotta. Un gesto pervasivo, sostanza per una nuova viziosa citazione: il beniniano ritratto a mezzo busto di Luigi XIV. Siamo sull’orlo dell’apoteosi barocca. Sebbene per Williams si tratti di un barocco “trascendentale”, comandato da quel rosso che mette in evidenza un volto fatto di cavità, più che tratti somatici salienti. Trascendentale sì, ma smagliante come l’originale.
C’è quindi tutto un “contorno” di elementi narranti. Oggetti tipo gli specchi. Che sottomettono la vanitas contemporanea alla sola contemplazione delle loro superfici non specchianti, con quest’ultime marchiate da un cretto sottilissimo, quasi a simulare una grisaglia. E c’è il drappo rosso, tanto barocco, ma molto poco nostrano. Di fattura decisamente più nordeuropea, in cui ogni piega, ogni ansa organizzata a pavimento sa di costruzione studiata al dettaglio. Costruzione ancora più evidente nell’altra sala, sul tavolo dove è sistemato Scorpion heart vase: un vaso, appunto, fatto ruotare meccanicamente su quel panno che per metà riveste il tavolo. Composizione, tensione, contraddistinguono una sequenza di pieghe rigida quasi quanto una plissettatura. Sfioritura delle rose a parte, che poi sono l’unico elemento naturale dell’intera messa in scena, Williams non ha lasciato nulla all’improvvisazione.