Qual è stato il tuo percorso artistico?
Si tratta di un percorso del tutto individuale, al di fuori di ogni tipo di background accademico. Sin da bambino ho sempre manifestato una forte tendenza alla creatività, nella sua accezione più ampia. La creatività è ciò che mi ha portato nel tempo a realizzare opere d’arte. Come ogni percorso, anche il mio è stato caratterizzato da pause e ripartenze, legate generalmente al mio stato d’animo, e alla volontà di riflettere sui temi verso i quali indirizzare l’attività artistica, in una sorta di “vuoto fertile”, definito dal filosofo Friedlander come preludio all’atto creativo. Considero questo tipo di riflessione come parte integrante del mio percorso, che solo di recente, da circa due anni, ha ripreso a manifestarsi con più costanza e regolarità.
Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?
Mi concentro principalmente su un’arte volta alla trattazione di temi poco dibattuti, anzi spesso elusi e fuori dai panel delle riflessioni sociali. Le mie opere riguardano temi quali la salute mentale, gli stati di depressione, la condizione sociale delle fasce più deboli della popolazione, il concetto di resistenza a qualunque tipo di oppressione, la manipolazione psicologica.
In termini fisici, le mie opere assumono forme e tecniche diverse, dal disegno all’installazione, in maniera non casuale. Cerco infatti sempre di instaurare una connessione tra il tema trattato e la tecnica con cui l’opera viene realizzata. Voglio in sostanza che la tecnica condivida con il soggetto dell’opera lo stesso destino. È ad esempio il caso di “Parallelo”, che ritrae un clochard dormiente: in quel caso, la precarietà delle sue condizioni di vita è vissuta anche dalla tecnica di realizzazione. L’opera è infatti realizzata su un tessuto di ciniglia, trattato e “accarezzato” manualmente, sfruttando le caratteristiche del tessuto, che ha un suo diritto e un suo rovescio. Una passata di mano su quel tessuto cancellerebbe tutta l’immagine: anche la tecnica con cui ho realizzato “Parallelo” è quindi precaria, proprio come la quotidianità del personaggio.
L’utilizzo di tecniche diverse è poi collegato ad una mia tendenza naturale, ossia quella a sperimentare. Per sentirmi vivo e attivo ho la necessità di lavorare su tecniche e materiali diversi.
In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?
Condivido pienamente il concetto di arte come strumento di riflessione, ma come artista non ho intenzione, né sento la responsabilità di dover insegnare qualcosa, o di fornire risposte.
Il cambiamento è conseguenza della consapevolezza. Nell’epoca che stiamo vivendo, in cui spesso si pretende di dare insegnamenti senza avere le sufficienti basi, l’arte dovrebbe porsi a mio parere in una posizione che non reclami alcuna autorità nel dare lezioni. Credo che l’arte possa far nascere, dall’osservazione delle opere o di performance, la consapevolezza di quanto siano concrete determinate questioni, oppure problemi e disagi vissuti dalla società.
Ma l’artista non si può fermare al far osservare al pubblico le sue opere. Deve anche essere disposto a discutere sui temi cui le sue opere si rivolgono, con un’apertura mentale che potrebbe anche portarlo a cambiare idea, a cambiare prospettiva. È così che io leggo il potenziale dell’arte, e la natura di condivisione che la caratterizza.
Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
Intendo proseguire anzitutto nella ricerca di nuove tecniche e materiali con i quali realizzare le prossime opere, e nella ricerca di nuovi argomenti. Vorrei dedicare le mie opere a vari filoni artistici, e renderle conoscibili non solo attraverso mostre ed esibizioni, ma anche attraverso dibattiti e condivisioni di pensieri, a partire da questa intervista!
Ho poi una passione per le opere monumentali: anche a questo vorrei dedicarmi nel futuro.
In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?
Allo stesso modo in cui ritengo che l’artista debba essere pronto a cambiare prospettiva dialogando con il pubblico, ritengo che anche il pubblico debba essere aperto alla stessa eventualità.
Ciò vale anche per le istituzioni. Il loro ruolo è fondamentale per governare le dinamiche sociali e le transizioni, ma ciò non può più avvenire senza dialogo. Ritengo ad esempio che negli incontri, nei dibattiti, negli eventi o nelle iniziative promossi dalle istituzioni siano necessarie figure non solo di natura istituzionale, ma anche facenti parte dell’universo artistico, inclusi i curatori, che possano fornire punti di vista diversi.
Per gli artisti emergenti o poco conosciuti, iniziative a cadenza periodica promosse dalle istituzioni (Comuni in primis) che consentano loro di presentarsi, sarebbero occasioni certamente ben accette. Questo tipo di iniziative può rappresentare uno stimolo anche per la curatela.
Si deve mantenere un dialogo costante tra istituzioni, artisti e curatori, con l’impegno di ognuno a non voler definire i confini del lavoro dell’altro.