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Other identity #35, altre forme di identità culturali e pubbliche: Montserrat Diaz
Fotografia
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana l’ospite intervistato è Montserrat Diaz.
Other Identity: Montserrat Diaz
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Nei miei autoritratti do sicuramente più importanza al corpo che al viso, ossia, alla comunicazione corporea piuttosto che a quella facciale, e sono solita ritrarre me stessa (ma anche mia figlia) di schiena. Questo perché amo osservare gli altri, specialmente quando non sanno di essere guar-dati; trovo che il corpo sia più sincero e rilassato quando non si sente al centro dell’attenzione e che esso sia uno strumento comunicativo molto potente, specialmente quando fluttua nello scat-to di un salto, nel tentativo fallace di volare. La schiena, ma anche le mani e le braccia, hanno un posto importante nel mio lavoro: la prima è il vaso dentro al quale vi è il cuore, le mani sono fondamentali al atto creativo, esse fanno e offrono. Nella testa risiedono i sogni, l’identità creativa e quindi il vero io».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Sicuramente i miei ritratti hanno una parvenza onirica molto marcata, questo perché in essi io cerco me stessa attraverso un linguaggio che, come accade in quello dei sogni, sia totalmente libero e intriso di simbolismi. Cerco di rappresentare situazioni che diano una parvenza di tempo sospeso, irreale. Gli animali, gli specchi, i quadri, il ritratto nel ritratto…tutto ha un significato simbolico».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Non amo apparire. Sono una persona piuttosto riservata e gelosa della mia intimità. Tuttavia mi rendo conto che per un artista, oggi più che mai, mostrarsi sia necessario, quasi per corroborare la propria esistenza. Bisogna far vedere che si fanno tante cose, cose sempre nuove nuove, e a me tutto questo continuum stressa e spaventa pure un poco. Io penso che se ad un certo punto non si ha niente da dire sia meglio attendere in silenzio quel bisogno comunicativo che è alla base di ogni atto creativo, almeno per me».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Le mie non sono fotografie che ritraggono una realtà, bensì sono immagini che nel essere rielabo-rate con la tecnica del fotomontaggio (usando due o più fotografie) cercano di imitare il meccani-smo dei sogni per dare luogo a un’immagine nuova e onirica che come un sussurro nel vento, tro-va l’osservatore e lo scuote, proprio come accade in letteratura con il genere del realismo magico».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Io ho sempre pensato che l’arte sia un linguaggio autobiografico, e penso che chiunque si avval-ga di uno strumento -che sia la scrittura, la pittura, la fotografia, o altro- per produrre qualcosa che racconti sé stesso, sia un’artista. Quando sento l’urgenza di esprimermi e raccontare qualco-sa di me, è solo attraverso la creazione fotografica che riesco a soddisfare pienamente questo bisogno, ed è allora che penso di potermi definire un’artista».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Ho sempre amato la pittura. Penso che sia la forma di espressione, oltre la fotografia, con la quale mi identifico di più».
Biografia
Fotografa autodidatta, Montserrat Diaz, nata a Malaga ma trapiantata a Milano dal 2000 dove si laurea in Lingue e Letterature Straniere, ha sempre avuto una grande predisposizione per l’arte. Anche se inizialmente ama esprimersi attraverso la pittura, nel 2014 scopre la fotografia e da allora diventa il mezzo attraverso il quale preferisce esprimere se stessa.
In modo spontaneo è portata a rappresentare situazioni oniriche in cui il soggetto vive in modo normale l’irrazionalità insita nella scena. Le sue “immagini”, spesso frutto di fotomontaggi, richiamano quel mondo onirico che da sempre l’affascina, e imitano il meccanismo messo in atto durante il sogno, tramite il quale si vengono a creare nuovi mondi in assoluta libertà partendo dalla rielaborazione di momenti vissuti e soggetti o cose catturati durante la veglia. Per i suoi lavori prende spunti dalla letteratura, prediligendo il realismo magico e il fantastico di Borges studiato all’università.
Il suo percorso lavorativo inizia nel 2016 con l’evento artistico torinese Paratissima (sarà loro ospite anche nel 2017 e 2018), grazie al quale si farà conoscere. Partecipa a numerose collettive e personali sia in Italia che al estero. Compare come artista nella rivista fotografica Gente di Fotografia n°74 e nella newyorkese Mystery Tribune, primavera 2019.
Attualmente collabora con Alberto Desirò, curatore e gallerista della AD Gallery di Firenze insieme al quale, nel 2021, ha partecipato alla importante fiera fotografica milanese MIA Photo Fair e alla fiera d’arte romana Arte in Nuvola.