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PhotoVogue Festival 2022, a Milano. Intervista ad Alessia Glaviano
Fotografia
di Silvia Conta
Inaugurata con la Lectio Magistralis di Alfredo Jaar dal titolo “Teach Us to Outgrow Our Madness”, l’edizione 2022 del PhotoVogue Festival (17-20 novembre), la settima del «primo festival di fotografia di moda consapevole che si concentra sugli elementi in comune a etica ed estetica», si presenta con una domanda: “Che cosa direbbe Susan Sontag? La contraddizione della sovraesposizione” e propone «un dibattito sul modo in cui l’ubiquità delle immagini plasma la nostra sensibilità», di cui abbiamo parlato con Alessia Glaviano nell’intervista qui sotto.
Il festival, diretto da Alessia Glaviano, Head of Global PhotoVogue, e curato insieme a Francesca Marani, vede susseguirsi, tra i relatori, «artisti affermati come Roe Ethridge e Yelena Yemchuk, figure di spicco nel panorama fotografico come Fred Ritchin e Susie Linfield, intellettuali come Emanuele Coccia e David Rieff e l’European Editorial Director di Vogue, Edward Enninful».
A BASE Milano, insieme ai talk, anche sei mostre: “Regarding the Pain of Others”, “Face Forward: Redefining the Vogue Cover”, “The Next Great Fashion Image Makers”, “Italian Panorama”, “Visual Communication for change: usare la creatività per affrontare le malattie tropicali neglette in Africa” e “Voice X photovogue: residency e collezione NFT”.
Tra gli eventi da non perdere oggi, 19 novembre alle 19.00, c’è NFTs: A Photographer’s Friend or Enemy? Salah Zalatimo in conversazione con Roe Ethridge, Azu Nwagbogu e Alessia Glaviano, e domani, sempre alle 19.00, ci sarà il talk THEY WON’T BREAK OUR SOUL: dalle spiritualità afrodiscendenti alla rivoluzione della pratica della resistenza e dell’amore. Conversazione sull’afrodiscendenza, sulla solidarietà tra i movimenti, il sonno e il riposo che vedrà Paolo Maurizio Talanti in conversazione con Dr Andi Nganso, Antonio Dikele Di Stefano, On. Aboubakar Soumahoro, Simao Amista, Michelle Francine Ngonmo, Cinzia Adanna Ebonine, Susanna Owusu Twumwah.
Il festival ha previsto anche «una presenza digitale, con panel trasmessi sulla piattaforma di PhotoVogue e letture portfolio online, che consentiranno la partecipazione ad artisti di tutto il mondo». Qui potete trovare il programma completo (e interamente gratuito) del festival e gli eventi collaterali.
‘Contraddizione della sovraesposizione’ è il tema dell’edizione 2022 del Photovogue Festival, in estrema sintesi, che rapporto viene stabilito tra questo tema e la contemporaneità?
«È un’idea che mi è venuta riflettendo su quale potesse essere un tema attuale e urgente come quello della sovraesposizione alle immagini che tutti noi viviamo giornalmente con gli smartphone, per strada, ovunque. Mi sono venuti in mente due libri scritti da Susan Sontag, uno negli anni ’70, On Photography, e uno del 2003, Regarding the Pain of Others: nel primo lei solleva la questione che esiste il pericolo che pubblicando tante immagini che riguardano la sofferenza degli altri, il risultato potrebbe essere quello di anestetizzare le coscienze e normalizzare quindi il contenuto di queste immagini, perché la gente si abitua, mente non bisognerebbe mai abituarsi al dolore degli altri. Oggi il fenomeno della sovraesposizione alle immagini è cresciuto in modo esponenziale, basta pensare a come vengono utilizzate e fruite le immagini giornalmente.
Nella mia riflessione ho fatto un passo ulteriore rispetto a Sontag, individuando quello che io definisco un paradosso: la sovraesposizione alle immagini che provoca la normalizzazione del contenuto delle stesse è ovviamente negativa se si pensa alle immagini del dolore degli altri, risulta invece molto positiva davanti all’immagine della diversità perché se si espone il diverso e si continua a mostrarlo a un certo punto, io mi auguro, non sarà più tale, diventerà normalità. Lavorare su questo è anche il ruolo di realtà come la nostra, come quella di Vogue, di Condé Nast, dei media. A questo tema sono dedicati anche i talk del festival e le mostre».
Come si incontrano qui etica ed estetica, tema a Lei molto caro?
«Durante tutta la mia carriera ho sempre prestato grande attenzione al legame tra etica e estetica, perché credo che siano due elementi che assolutamente procedono insieme, si toccano e credo che oggi anche gli artisti che si occupano di fotografia di moda incorporino nelle loro immagini temi sociali, come genere, identità, etnia e molto altro».
Secondo Lei nel tempo è cambiata la presenza delle tematiche sociali nella fotografia di moda?
«Sicuramente oggi i giovani fotografi sono molto più consapevoli di quanto lo fossero anni fa, c’è un’attenzione diversa a questi temi».
Che cosa rappresenta oggi il Photovogue Festival nel panorama nazionale e internazionale? Come è cambiato dal 2016 a oggi?
«Si è ampliato, ma rimane fedele ai valori e alla missione dell’inizio, che sono sempre quelli di dare possibilità a giovani talenti da tutto il mondo e provenienti da comunità che non hanno avuto voce in capitolo fino a poco tempo fa, di esprimersi e di mostrare il proprio lavoro. Fin dalla prima edizione i temi di cui ci siamo occupati evidenziano ciò di cui parlavamo poco fa: la congiunzione dell’etica con l’estetica, infatti abbiamo parlato di female gaze, di mascolinità, di diversity, della politica della moda, abbiamo toccato molti temi che sono specchio di ciò che succede nella società.
L’aspetto più nuovo di quest’anno è che si tratta della prima edizione in cui PhotoVougue è diventato una realtà veramente globale: lo è sempre stata a livello di numeri perché gli utenti di PhotoVogue, la sua community, è mondiale, abbiamo artisti ovunque nel mondo, però adesso è una property di tutte Condé Nast, non è più di Vogue Italia, tant’è che io lavoro con tutti i Vogue del mondo e il mio team è americano. Una delle mostre che abbiamo a BASE, ad esempio, è il risultato di una collaborazione con tutti i Vogue del mondo, 27 edizioni diverse, con cui abbiamo portato in mostra le cover più importanti da un punto di vista dell’inclusività culturale».
Qual è il legame con BASE Milano?
«Siamo stati qui dalla prima edizione, è un luogo che mi piace molto, mi dà un senso di community vicino ai nostri valori culturali».
Quali sono le peculiarità dell’edizione 2022 e dei suoi appuntamenti?
«Si potrà, ad esempio, vedere la collaborazione che con Voice in cui è stato esplorato il mondo degli NFT con 80 artisti diversi, tutti di PhotoVigue, c’è, inoltre, una mostra cui tengo particolarmente che si intitola “Regarding the pain of others” in cui ho fatto un ragionamento su come si possa potevo spingere il pubblico a diventare più consapevole, anche come fruitori d’immagini. Ho deciso, quindi, di realizzare una mostra in cui non vengono mostrate immagini, ma si hanno solo le loro descrizioni. ‘C’è un lunghissimo muro bianco con tantissimi pannelli neri con delle scritte bianche, senza foto e le scritte ogni pannello è riferito a un’immagine iconica del passato, dal Vietnam, da Auschwitz fino all’Ucraina di oggi. Sono immagini diventate iconiche, che tutti noi ricordiamo molto bene, che vengono solo descritte in modo da provocare un cortocircuito nella mente del visitatore e far riapparire l’immagine come un’immagine mentale».
Qual futuro per il PhotoVogue?
«Sicuramente una cosa che farò è quella di portare il festival o sue emanazioni in tutti i Paesi in cui siamo con Conde Nast, quindi questa è una bella cosa è un evento che nasce come veneto italiano e che però viene riconosciuto: ha già adesso una rilevanza mondiale e in più verrà affiancato con edizioni ovunque nel mondo».