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Esplorazione semiotica dalle tinte punk-underground, la mostra 符号的智能 (The Intelligence of the Signs), personale di Donato Piccolo presentata presso gli spazi berlinesi della Galleria Mazzoli, raccoglie una selezione di opere grafiche e pittoriche degli ultimi due anni assieme a due sculture mobili – una riproduzione della Dama con l’Ermellino di Leonardo Da Vinci e del libro Il mistero della Gioconda (Rizzoli, 2006).
Attivatore di una curiosità dislocata e polimorfica, il “segno” è trattato in mostra come dispositivo comunicativo originario, indagato nella sua forma verbale e visuale attraverso la fagocitazione di residui pubblicitari, emersioni dal dark web, frammenti testuali, elementi naturali e componenti meccaniche, sedimentati nell’ampia serie di opere grafico-pittoriche. Attraverso il ri-posizionamento e la ri-significazione dello stesso, l’artista programma un circuito linguistico aperto e onnivoro, in cui innesta i diversi elementi di ossessione della sua ricerca.
Il progetto espositivo si colloca nel percorso di Piccolo come prosecuzione di un’indagine totale sulla dimensione del fenomeno, inteso come risultante ultimo non solo di processi culturali e articolazioni simboliche complesse, come nel caso della mostra in oggetto, ma anche del mondo naturale, come testimoniato dalle opere realizzate nell’ultimo decennio di produzione segnate dal rapporto di ibridazione con la dimensione scientifica e tecnologica. Esempi dell’attenzione riservata alla fenomenologia della natura si ritrovano in alcune delle sue sperimentazioni più iconiche, come le istigazioni di vortici e uragani, o nell’opera Leonardo sogna le Nuvole (2014), ennesimo omaggio dell’artista al genio vinciano. Qui, il disvelamento del fenomeno e la sua rievocazione diventano linguaggio, in un processo in cui l’artista non devia né corrompe una sensibilità profondamente formalista, potenziata, e non congelata, da una radicata conoscenza scientifica.
Le tavole esposte nella mostra berlinese, che quasi rassomigliano a traduzioni visive di distopici manuali di istruzioni, tradiscono la traiettoria deviante dello sguardo dell’artista verso la dimensione generativa e voyeuristica del relitto, disvelando la sua tensione verso una disfunzionalità distruttiva. L’ossessione per la macchina diviene un sistema linfatico di connessione tra le diverse manifestazioni del percorso artistico di Donato Piccolo, qui solo sinteticamente delineato, nutrito da una catena di analogie estetiche che connettono corpo, meccanismi cognitivo-comunicativi, cultura digitale, scienza e rovina, innestandole in una pratica prismatica e visionaria che fino ad oggi ha detto molto – e lo ha detto bene – sul delicato confine tra coscienza generativa dei new media e necessità di riconnessione a una condizione di originarietà naturale e culturale.