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Roma, dopo più di un secolo un vicolo segreto torna pubblico. Insieme alle sue storie
Attualità
Seguendo le indicazioni di un’operetta seicentesca pescata al mercato di Campo de’ Fiori, il protagonista de “Le notti romane”, meraviglioso libro del ’60 di Giorgio Vigolo, si ritrova in una Roma mai vista prima. Sbucato da una viuzza sul fantomatico “Stradone delle Fontane” – «Simile a una sterminata Piazza Navona che si prolunghi per miglia» – egli incontra un amico pittore smarrito da anni che, all’insaputa di tutti, continua a coltivare la sua arte vivendo insieme alla sua bella Musa. Non si creda che soltanto la letteratura regali a chi percorra la Città Eterna prodigi come questo, incredibile dictu. Dopo più di un secolo, infatti, vicolo Capizucchi – a due passi dal Portico d’Ottavia e dal Campidoglio – riapre i suoi cancelli, tornando a essere pubblico.
A segnalare l’anomalia dell’ingiustificata chiusura pedonale della calle è stato il programma di Canale 5, Striscia la Notizia. Ma qual è la storia di questo passaggio romano, perché era stato chiuso e cosa comporta la sua riapertura? Sembra che il nodo dell’intera vicenda risieda nel rinascimentale Palazzetto Albertoni Spinola, diviso in due dimore, ubicate a destra e a sinistra dell’imbocco di vicolo Capizucchi.
30 maggio 1616. Nella “Concessione dei Maestri delle strade” si legge: «Si concedi licenza al signor Cavaliere Baldassarre Paluzzi Albertoni di poter fare sopra la porta di dietro della sua casa un arco, che passi sopra il vicolo per poter andare all’altre sue case vicine».
Quell’arco, oggi ancora visibile e ben conservato – costruito da Giacomo della Porta con l’allievo Girolamo Rainaldi – congiunge sopra la testa dei passanti le due ali del Palazzo e rappresenta, per così dire, un preliminare raccoglimento sopraelevato del vicolo. Infatti “ex quibus caelum videri non potest”. Ma nel Seicento non vi era ancora ombra di porte che ostruissero il cammino. Al tempo, però, era già possibile fruire delle illusioni prospettiche create ad arte dai due architetti, per cui allontanandosi a ritroso dal portone del Palazzetto, la chiesa antistante di Santa Maria in Campitelli sembra spostarsi da sinistra verso destra. Intanto, lontano da occhi indiscreti, al piano nobile sorgeva un giardino pensile. Sovente “mirabilis non admirare potest”: spesso non si può ammirare ciò che è degno di meraviglia.
Fu nel 1820 che Papa Leone XII accordò alla famiglia Albertoni Spinola, che vanta fra gli avi una copiosa mole di cardinali, il permesso di posizionare eleganti cancelli, con decori a pigna, da una parte e dall’altra di vicolo Capizucchi, rendendolo di fatto una strada privata.
Trattandosi di cancelli antichi, la Sovrintendenza a oggi impedisce di rimuoverli ma, adesso, alcune pesanti catene con lucchetto ne ostacolano la chiusura. Turisti, villeggianti o romani curiosi possono ora varcare una soglia che mai più, per abitudine e stratificazioni temporali, si poteva pensare di varcare.
Calvino scrive che «La città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano». Lo stesso accade qui: lungo il tragitto, adagiate a terra, rimosse per l’ubicazione dei severi cancelli, giacciono le colonne che adornavano i due ingressi del vicolo. E, andando a scavare, si scoprono sempre maggiori stranezze: la famiglia Capizucchi, che dà il nome al passaggio, era una delle più antiche del patriziato romano. Tuttavia, sembra che Gianroberto Capizucchi, cardinale di San Clemente, descritto da alcune fonti come vissuto a cavallo tra l’XI e il XII secolo, non sia mai esistito, ma rappresenti piuttosto un falso cinquecentesco (!).
Quali altri tranelli ha in serbo questo scorcio romano? A cancelli aperti, il gioco ricomincia. Anzitutto, col sostegno di Borges, il gioco del labirinto. A Roma perdersi non è mai uno sbaglio per chi confida in tanti passi, notturni o diurni che siano, ma il beneaugurale stadio di chi comincia un’avventura.
Il nome del Cardinale è Antonio Capizucchi, non Gianroberto.
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