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Roma Silenziosa Bellezza: la mostra fotografica di Moreno Maggi al Vittoriano presentata da Webuild
Mostre
Il volto inedito della città di Roma.
Dal 20 gennaio al 28 febbraio 2023, la Sala Zanardelli del Vittoriano a Roma ospita la mostra fotografica “Roma Silenziosa Bellezza” organizzata da Webuild, uno dei maggiori global player nella realizzazione di grandi infrastrutture complesse nel mondo, e dal VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia – con il patrocinio del Comune di Roma.
L’esposizione, nata da un progetto che ha preso corpo a seguito della pandemia per il Covid 19, illustra il mutato aspetto degli scenari urbani a seguito del periodo del lockdown, offrendo contestualmente l’occasione per un ripensamento, in senso lato, sul ruolo della città in relazione alle esigenze dei fruitori, siano essi residenti, forestieri etc., ma anche sull’effettiva compatibilità delle proprie peculiari caratteristiche in connessione con gli eventi, di portata anche internazionale, che nell’ “Urbe” potrebbero svolgersi in un prossimo futuro. A latere di questa iniziativa dal 15 gennaio Palazzo Venezia si è illuminata con un virtual show che alterna una selezione di foto della città di Roma con giochi di luce, vestendo di effetti speciali la sede del VIVE.
La mostra, curata da Roberto Koch e Alessandra Mauro, offre una ricca selezione di riproduzioni fotografiche, materiali video e proiezioni a cui si lega un audio experience. Durante il percorso è data la possibilità di ascoltare racconti su diversi luoghi emblematicamente legati all’immagine più tradizionale che di Roma è sempre stata percepita. Le riproduzioni fotografiche prescelte, realizzate da Moreno Maggi e presentate solitamente in grande formato, evocative della grandezza storico-culturale di Roma – che passa, tra le altre, dalla fase imperiale a quella connessa al primo periodo cristiano, dal Quattro-Cinquecento al periodo barocco, sino ad arrivare agli scenari più moderni – pur note e facilmente riconoscibili da parte dei più, si caricano, in questa mostra, di un’inedita e inaspettata valenza. Il repertorio delle foto in esposizione che inquadrano, tra gli altri, i Fori imperiali, gli scenari di diverse celebri piazze, da piazza Venezia, a piazza del Popolo, a piazza Navona, ci restituiscono un’immagine tradizionale dell’Urbe e altrettanto rievocativa delle gesta di diversi imperatori romani, di importanti committenze papali, cardinalizie, e dell’opera di architetti che hanno segnato significativamente la fisionomia di alcuni dei più prestigiosi edifici romani in epoca, ad esempio, seicentesca, come Carlo Rainaldi, Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini o sono stati responsabili, nel Novecento, della progettazione di quartieri esemplari, urbanisticamente parlando, quali l’E.U.R., come Carlo Piacentini. Si tratta di imprese frutto dell’ingegno e della creatività umana che si prospettano, però, nelle inquadrature proposte – metafisicamente silenziose e disabitate – come simulacri di qualcosa di cui forse si è smarrita in quel momento la memoria storica, assorbita anch’essa da quell’oblio esistenziale che il lockdown del 2020 ha imposto.
Alle immagini proposte nell’esposizione, emblematicamente intitolata “Roma Silenziosa Bellezza“ si lega un’idea di sottrazione, di mancanza dovuta non solo alla penuria di presenze umane, ma anche all’apparente perdita proprio del senso della storia che sembra smarrito a causa della brusca interruzione di un circuito di vita, fatto di accadimenti rispetto ai quali l’operato umano, sia sul piano culturale sia sul piano creativo, ha costituito un insostituibile e ineludibile tassello. Si ricava dunque l’idea di una Roma di assenze, come se a parlarci non ci fossero più le gesta degli imperatori romani o le iniziative di illustri pontefici o di famiglie legate ai lignaggi più prestigiosi e anche di chi, nel circuito delle persone comuni, ha sostenuto, nelle retrovie, le loro significative imprese, ma ci venisse restituita l’immagine di sorta di monumentale natura morta, drammaticamente evocativa del dramma pandemico che ha costretto le persone a un esilio improvviso la cui durata non era dato immaginare che portata potesse avere.
A simboleggiare emblematicamente questa umanità scomparsa, ad evocare una vita non percepibile e soprattutto non visibile, si ergono le magniloquenti e monumentali sculture che abitano tanti monumenti romani immortalati nelle fotografie della mostra, dalla seicentesca fontana berniniana di piazza Navona, alla settecentesca Fontana di Trevi, dovuta a Nicola Salvi. La natura marmorea di queste stesse sculture è efficacemente allusiva a una realtà bloccata, pallido e inquietante riverbero mimetico di fattezze di esseri umani, non più presenti nel momento in cui sono stati realizzati da Moreno Maggi gli scatti fotografici. A questo proposito, l’autorevole studioso e storico dell’arte Claudio Strinati (Soprintendente presso la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Roma e del Lazio dal 1991 al 2009) ha asserito, così come ricordato in un pannello della mostra, che: «In realtà una sensazione di presenze viventi c’è, e assai vivida, nella nostra visita alla città. Sono le statue che incontriamo in ogni dove e che ci danno continuamente la percezione di una vita latente che non si interrompe mai».
Da questo quadro depauperato di qualsiasi alito vitale, da cui emerge l’idea di una bellezza astratta non più tangibilmente legata all’operato umano, da uno scenario dunque di segno drammaticamente negativo nasce immediatamente l’esigenza di reinterpretare oggi quegli stessi scenari, di vivificarli in maniera rinnovata, irrorandoli di nuova energia progettuale che possa rendere la Città eterna un luogo ancor più intensamente vivibile.
L’esposizione riveste un particolare significato in rapporto ai progetti futuri che riguardano la città. Nello specifico una valenza davvero essenziale assume ora questa mostra in relazione alla candidatura della Capitale per l’Expo 2023. Proprio in questi giorni, nell’ambito della selezione riguardante la futura sede ospitante l’evento – che verrà stabilita entro il prossimo mese di novembre – è in corso una visita nella città da parte del segretario generale del Bureau International des Expositions, Dimitri Kerkentzes durante la quale sono previsti incontri con diverse istituzioni.
Sarebbe forse ora pleonastico sottolineare ancora una volta l’irrinunciabile ruolo storico, l’importanza culturale, la ricchezza senza pari del patrimonio artistico, celebrati più volte anche negli innumerevoli tributi che il cinema ha voluto rendere a Roma, da Roberto Rossellini, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini sino alla recente “La Grande Bellezza“ di Paolo Sorrentino, ragionando solo di registi italiani a cui seguono gli omaggi all’Urbe in opere cinematografiche di produzione straniera, come quelle di William Wyler o di Woody Allen. E proprio a proposito di due registi sopra citati, annoverabili tra le più autorevoli ed emblematiche figure dell’arte cinematografica del Novecento in Italia, Fellini e Pasolini, all’interno della stessa mostra vengono riportati loro pensieri che riguardano la Città eterna:
«Che cos’è Roma? A che penso quando sento la parola Roma? Roma è una città orizzontale, di acqua e di terra, sdraiata, ed è quindi la piattaforma ideale per dei voli fantastici. Gli intellettuali, gli artisti, che vivono sempre in uno stato di frizione fra due dimensioni diverse – la realtà e la fantasia – trovano qui la spinta adatta e liberatoria della loro attività mentale: con il conforto di un cordone ombelicale che li tiene saldamente attaccati alla concretezza» (Federico Fellini, “Fare un film“, Torino 2015).
«Dico sempre a tutti, quando mi capita, che Roma è la città più bella del mondo. (…) La sua bellezza è naturalmente un mistero: possiamo pure ricorrere al barocco, all’atmosfera, alla composizione del terreno, che le dà continue inaspettate prospettive, al Tevere che la solca aprendole in cuore stupendi vuoti d’aria, e soprattutto alla stratificazione degli stili che a ogni angolo a cui si svolti offre la vista di una sezione diversa, che è un vero trauma per eccesso della bellezza» (Pier Paolo Pasolini, “Storie della città di Dio. Racconti e cronache romane (1950-1966)”, Torino 1995).
La prospettiva che questa mostra sollecita ad indagare è proprio la rivisitazione e la reinterpretazione di un Città che, testimone di alcuni dei più importanti eventi storici che hanno segnato la storia dell’Occidente, possa ora, nel rispetto del passato, divenire scenario per manifestazioni che sono la proiezione della contemporaneità il cui ricordo potrà in futuro saldarsi ai tanti episodi che hanno fatto di Roma un centro di importanza irrinunciabile, tout court, come detto, proprio per i riflessi sui percorsi storico-culturali del mondo occidentale ma non solo.