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Voci che rompono il silenzio: quattro artiste iraniane a Bologna
Arte contemporanea
«E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro», Friedrich Nietzsche. Voci che rompono il silenzio. Voci delicate, femminili, materne, voci che si prendono cura. Voci allo stesso tempo forti e determinate, voci che affermano, voci che rivendicano. Voci che si fanno gesto, gesto che parla attraverso la materia, custode di memoria e tradizione, portavoce di messaggi di libertà. “Voci dall’abisso. Quattro artiste iraniane a Bologna” è stata tutto questo.
Lo si percepisce nello sguardo vivo e brillante, venato di malinconia, delle protagoniste – Pegah Pasyar, Reyhaneh Alikhani, Golzar Sanganian e Khorshid Pouyan – mentre si raccontano, lo si avverte nel vedere e vivere le loro opere da vicino. Questa mostra, curata da Marco Baldassari presso Palazzo Fava – il Palazzo delle esposizioni del circuito museale Genus Bononiae – in concomitanza con Arte Fiera 2023, è stata un piccolo grande gioiello nel cuore del capoluogo bolognese, il racconto poetico e sussurrato di una terra, quella iraniana, afflitta negli ultimi mesi dalle brutali repressioni perpetrate dal governo degli Ayatollah.
«Libertà, amore, sofferenza, appartenenza», come scritto nel comunicato, sono i sentimenti che hanno animato questo progetto e che collegano come un fil rouge ricerche sviluppate con linguaggi e tecniche differenti.
Il percorso inizia con i disegni di nudi di Pegah Pasyar realizzati con la tecnica del monoprint su carte antiche: sono corpi spogliati di qualsiasi connotazione culturale, esseri umani che si relazionano. L’applicazione della foglia oro, così come l’essenzialità delle forme, è un retaggio dello studio giovanile della tecnica di miniatura persiana.
Le sculture realizzate in cartapesta e creta che danno il nome alla mostra raccontano la forza delle donne iraniane che protestano per rivendicare la propria libertà; il loro colore bianco, sintesi di tutti i colori dello spettro, è simbolo di universalità, mentre gli specchi collocati alla base pongono in dialogo l’opera con il pubblico che vi si riflette, specchi che posti anche all’interno delle cornici dei piccoli dipinti a olio – Skyning e Routing – ne espandono l’orizzonte all’infinito. Completano la sezione dedicata a questa prima artista le figure femminili scolpite in terracotta dorata.
L’ambiente successivo è dedicato a Reyhaneh Alikhani. L’artista trae ispirazione dalla natura, una natura con la quale ha familiarizzato sin da bambina provenendo da una zona verde a nord dell’Iran vicino alle rive del Mar Caspio. L’impiego attualizzato dell’antichissima tecnica dei tappeti kilim, oltre a rappresentare il legame con la propria terra d’origine, diventa veicolo di messaggi quanto mai attuali come nel dittico Trame pure ove si affronta il tema delicato e sensibile della verginità ponendone a confronto la visione del mondo occidentale con quella del mondo orientale. Nella serie Trame, invece, l’artista priva gli oggetti taglienti della loro funzione, trasformandoli in telai dove il contrasto tra il tessuto morbido e la parte affilata si fa ancora più evidente. Sulle tele sono ricamati l’albero della vita e il melograno, ulteriori richiami alla fertilità. Infine, in Segni di Resistenza la ruggine che riaffiora sul feltro bianco che riveste le lame rappresenta la memoria della loro vita passata.
Ampio respiro viene dato alle opere di Golzar Sanganian che, come per Reyhaneh Alikhani, traggono origine dall’intimo rapporto dell’artista con la natura. Emerse è una installazione realizzata con le alghe rigettate dal mare sulla spiaggia di Napoli a seguito di una burrasca, l’artista offre loro una seconda vita affidandole ad un nuovo spazio a simboleggiare ciò che avviene alle persone che, come lei, emigrano in nuovi territori. The road to freedom rappresenta una strada chiusa da ambo i lati, cementata, senza vie di fuga, che preclude la via verso la libertà: una riflessione che parte dal vissuto autobiografico.
In Untitled l’artista reinterpreta una storia ascoltata da bambina dalla voce della madre: scheletri di petali riempiti con inchiostro rappresentano il desiderio di un piccolo pesce di fuggire dalla diga in cui vive per tuffarsi e nuotare in mare aperto. L’installazione Naufragio è composta da una serie di legni danneggiati e abbandonati che l’artista ha raccolto e medicato coprendone le ferite con diversi materiali quali fiori, lana, filo di pelle di capra: il riferimento alle cicatrici e alla resistenza dei corpi feriti appare evidente.
La visita si conclude nell’ultimo ambiente, dove con la serie In_quiete di Khorshid Pouyan ritornano l’uso del tessuto e dell’immagine di corpi femminili senza veli. La ricerca dell’artista ruota qui attorno al movimento e alla ricerca di un equilibrio che pare precario. In Perdere Pezzi e Oltre al nulla si alternano prospettive e punti di osservazione differenti, vuoti e pieni, cerchi concentrici simili a spirali che attirano a sé lo spettatore e volumi compatti.