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Roberto Mariotti – Metamorfosi
Roberto Mariotti – attenuando la vocazione di architetto – si è abbandonato al puro piacere del disegno aggirandosi in siti segnati dalla presenza archeologica etrusco-italica. Da qui l’incisione su lastra a fissare, in bellissime prove di stampa, frammenti del mondo etrusco.
Comunicato stampa
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È stato semplice convincere Roberto Mariotti a conferire una veste di ‘frammenti unitari’ alla serie di incisioni che mi ha mostrato via via nel corso di quest’ultimo anno. La ripresa di questo contatto fra di noi si è verificata dopo un lungo periodo di lontananza tra me e Roberto e non solo, con reciproche incomprensioni, sorprendenti e inspiegabili rimozioni, dopo oltre quarant’anni di solidali complicità culturali e umane e distanze infine che apparivano come incolmabili. Gli ho suggerito e abbiamo poi condiviso l’idea di dare corpo e sostanza, riunificandole in una cartella, alle sue frammentarie peregrinazioni di questi anni in luoghi dell’alto Lazio segnati dalla presenza della civiltà etrusca. In particolare, Roberto Mariotti, aggirandosi da Castel d’Asso a Blera, da Norchia a Barbarano Romano, e a Sutri, mi piace immaginare munito di un taccuino su cui man mano si appuntava annotazioni disegnate è stato così sollecitato a incidere su lastra, quindi a stampare e fissare in bellissime prove di stampa, alcuni momenti struggenti di quella impari lotta tra la corrosività disruttiva della natura e l’apparente remissività, destinata alla consunzione, dell’attività dell’uomo volta a tramandare la memoria attraverso i luoghi della sepoltura. È andato così precisandosi il progetto di una cartella a tiratura limitata che restituisse l’idea di una serie selezionata di incisioni concepita come ‘serialità metamorfica’ che restituisse il tentativo di ‘dominio sul tempo’. Certo il riferimento storico come immediato precedente di questa cartella andava alla serie delle ‘Carceri d’Invenzione’ elaborate da Giovan Battista Piranesi tra il 1743 e 1760, una delle sue tante raccolte dedicate ai temi più diversi. Ho però parallelamente accarezzato l’idea di poter inscrivere questa straordinaria sequenza d’incisioni dedicate da Roberto Mariotti a frammenti del mondo etrusco, nell’ambito di un’inconfessata, ma vagheggiata e sotterranea ossessione per la continuità di dar seguito a tutte le mie iniziative da tempo ideate, avviate, coltivate e portate avanti, sia pure con ovvie disparità e difformità nel corso del tempo. Si è presentata così l’opportunità di riprendere e poter dare seguito, attraverso questa nuova serie di incisioni, a uno dei miei tanti progetti avviati e da me definiti come ‘Interminabili’ o, più verosimilmente, ‘a Futura Memoria’, che ho portato avanti, senza scadenze prefissate, nel corso degli anni. Provo, confesso, una certa resistenza e ritrosia a riconoscerlo e qualche imbarazzo nell’ammetterlo, come mi capita sempre più spesso con l’avanzare del tempo, quando mi sorprendo a misurare la distanza degli anni ormai trascorsi e son sempre davvero tanti, dall’avvio delle mie iniziative culturali, espositive e editoriali intraprese, in parallelo con la mia attività didattica, spinto da una mia costante e onnivora curiosità culturale e progettuale, all’interno dell’intero sistema dell’arte. Il tutto programmato in una concertata costellazione e cadenzato assecondando le diverse occasioni, garantendone però la congruità, il profilo identitario, pur nell’unicità delle singole tessere dell’esteso mosaico e il carattere di implicita ‘necessità’ come condizione primaria di ogni nuova presenza all’interno della serie. Ho iniziato così a pubblicare le prime raccolte di incisioni tra cui quella da me affidata a Franco Purini e da lui concepita e realizzata nel lontano 1977 dal titolo ‘Pareti’. Hanno fatto seguito poi, come vere e proprie costanti ‘Ripartenze’, quelle realizzate da Costantino Dardi con Giulio Paolini, da Dario Passi con Enzo Cucchi, da Arduino Cantafora, da Aldo Rossi, da Elisa Montessori e Paola D’Ercole. Inscrivere dunque questa nuova raccolta di incisioni di Roberto Mariotti in una ormai consolidata e storicizzata serie editoriale ha significato cercare un filo rosso di continuità con quelle che l’hanno preceduta individuato nel tema fondante come elemento costitutivo e generativo della stessa serie d’incisioni e che potremmo indicare specificamente, per quest’ultima cartella, nell’ambiguo e sofferto rapporto tra Natura e Artificio. Roberto Mariotti quasi volesse per un po’ di tempo attenuare la propria primaria vocazione di architetto, di convinto progettista, in questa occasione sembra quasi essersi abbandonato al puro piacere del disegno come al puro piacere del testo. È andato così aggirandosi in questi anni recenti, coincidenti con l’inquietante esplosione della pandemia, immagino in solitarie ricognizioni, con il proprio quaderno di appunti nei già indicati siti specifici dell’alto Lazio, segnati dalla presenza archeologica etrusco-italica, almeno dal settimo secolo se non già in precedenza, fino alla civiltà romana. Luoghi, peraltro, su cui si è stratificata e sedimentata tanta letteratura scientifica, soprattutto per la loro ‘riscoperta’, in particolare attraverso gli scavi e gli studi portati avanti dalla metà del secolo scorso, dal secondo dopoguerra, sia da singoli e autorevoli studiosi come Giovanni e Elena Colonna che dalle diverse istituzioni con la Soprintendenza dell’Etruria meridionale, l’Università di Roma la Sapienza, il C.N.R. e il centro per l’Archeologia etrusco-italica fondato da Massimo Pallottino e diretto poi tra gli altri da Mauro Cristofani. Ebbene Roberto Mariotti non si è lasciato intimidire da tante consolidate competenze scientifiche e specifiche, e da sguardi così approfonditi e si è voluto cimentare come persona del proprio tempo, interprete della propria idea di modernità e di contemporaneità, fare i conti con la storia che questi reperti storici lasciano intravvedere. Senza velleitarie volontà di fissare sin quasi a fermare il flusso del tempo l’autore sembra concentrarsi sul tema fondativo quasi facendolo diventare di immediata individuazione. Proprio a partire dal già indicato come precario e instabile equilibrio tra l’operare umano e la potenza degli eventi naturali. L’amorevole cura interpretativa, certo mai compassionevole attraverso il disegno suggerisce e sollecita una ‘attiva rigenerazione’ quasi a configurare una sorta di ‘secondo’ paesaggio, di ‘altro’ paesaggio, lontano sia da suggestioni e propensioni al Sublime così come da riferimenti alla ‘terribilità’ di alcune atmosfere piranesiane. Roberto Mariotti concentrandosi sulla luminosa verità delle sue visioni sembra ora voler far percepire un parallelo doppio registro, rispetto alla assertività del suo disegno legato all’attività di architetto, di progettista. Ora, in questa declinazione del proprio disegno sempre sotteso dal suo consueto ‘furor’, ma tipico di una produzione più intima, più privata, fondata sull’immediatezza nella resa dell’immagine con le sue trepidanti verità, l’autore sembra voler coniugare, in una sorta di coincidenza degli opposti, l’attenzione verso i modi di un fare ampio e disteso e nello stesso tempo carico di urgenze e immediato, pur nella ristrettezza di campo visivo che volta per volta decide di ritagliarsi. Sembra quasi di percepire in questi pochi anni di ‘vagabondaggi artistici’ la volontà di giungere a una spregiudicatezza formale nel cogliere sia la natura che l’architettura ricorrendo a un modus operandi libero e impetuoso. Roberto Mariotti sembra basarsi così su due elementi antitetici un disegno preciso e incisivo, anche se non analitico, e una spasmodica ricerca di ‘valori tonali’ come valori luminosi. Proprio questa attenzione ai valori è l’elemento che sembra ricondurre in un rapporto di pacificazione le opposte polarità, quasi a ricordarci come aveva scritto un grande poeta come Sandro Penna, che “il mondo che vi pare di catene, tutto è intessuto di armonie profonde”. Del resto lo stesso architetto nel percorso evolutivo del proprio itinerario poetico, artistico e progettuale proprio nelle occasioni di esclusiva promessa di architettura sia in quella rimasta a livello di progetto, sia in quella realizzata ha sempre prestato attenzione all’equilibrio tra la ‘natura naturans’ e una ‘natura naturata’. Ciò è evidente anche nei progetti di più ampio respiro, nella prima fase aurorale del GRAU, da quello per il mercato dei fiori di San Remo, soprattutto nella terza versione del 1975, con Alessandro Anselmi, Paola Chiatante e Franco Pierluisi, al grande progetto dei primi anni ottanta, solo parzialmente realizzato, per il Cimitero di Nizza così come nella capillarità degli interventi dopo il terremoto a San Gregorio Magno. Rispetto però alla facilità cui facevo riferimento all’inizio del mio testo, ho invece avuto più difficoltà nel dissuadere Roberto Mariotti dal ritenere che fosse la natura con il suo solo apparente debordante predominio, a risultare vincitrice in una ipotetica titanica lotta con l’artificio costruttivo dell’uomo. L’ho così persuaso che proprio attraverso l’urgenza e l’irruenza del suo disegno viene data testimonianza del senso di una continuità ed è proprio la pulviscolarità del suo segno frantumato a riavviare quel processo di riconoscimento di un valore di permanenza inscalfibile della Storia pur nelle sue multiformi e via via mutate condizioni di puro frammento. È proprio nell’artificialità del disegno che la sottende e che continua a far riaffiorare, sia pure in filigrana, il grande disegno di partenza, anche se in maniera più larvata, che si rende così sempre riconoscibile anche nelle mutate condizioni. Solo in questo modo viene permesso al debordare della natura di continuare il proprio ciclo vitale, e a prendere vigore in nuovi e ritrovati equilibri. Nessuna regressione verso visioni romantiche di memoria ottocentesca alla ricerca di impreviste bellezze, ma sguardo ‘contemporaneo’ attento alle avvisaglie, a quegli elementi di preannuncio della modernità di un artista come Jean-Baptiste-Camille Corot (Parigi 1796-1875) che non a caso è rintracciabile come memoria sotterranea nelle diverse ‘visioni’ di Roberto Mariotti. Ed è così la riconduzione ad una dimensione ‘mentale’ nella restituzione di quei luoghi, attraverso la serie delle quindici incisioni che compongono la cartella, con la loro realtà e con la loro verità, a evidenziare come l’autore cerchi un altrove che non si accontenta del mirabile equilibrio tra natura e storia già messo in luce a metà seicento da Gian Lorenzo Bernini nella Fontana dei Fiumi in Piazza Navona in particolare. Roberto Mariotti sembra voler rintracciare questo altrove in territori più impervi come nel rapporto tra Storia e Contemporaneità, se non tra Classicità e Modernità. Ma come non ricordare allora che già nel 1522, proprio cinquecento anni fa, Tiziano, nel Polittico commissionatogli per la Collegiata dei Santi Nazario e Celso, a Brescia, da Altobello Averoldi, Legato Pontificio a Venezia, riusciva a coniugare contemporaneamente e contemplare, parallelamente, la Classicità del movimento della figura del Cristo Trionfante, che rimandava a quella del Laocoonte dell’omonimo gruppo scultoreo riscoperto a Roma da poco tempo nel 1506, in una vigna sul Colle Oppio, confrontandola con l’azzardo della modernità della figura di San Sebastiano di evidente derivazione dai quasi contemporanei Prigioni di Michelangelo per la tomba di Giulio II del 1512.
Ma è soprattutto il taglio dello sguardo nei confronti di questi grandi frantumi a segnalare la perseguita unicità delle singole vedute che, non a caso, nella cartella, in maniera discontinua, quindi senza nessuna ricercata omogeneità di giacitura e conseguente piano di lettura, si presentano in successione tra ripresa orizzontale, ripresa verticale o messa a fuoco all’interno di un circoscritto riquadro. L’idea dell’unicità non può che discendere nella poetica di Roberto Mariotti dal lascito delle avanguardie storiche sovietiche in particolare dal formalismo russo, come egregiamente teorizzato da Viktor Šklovskij, nei suoi scritti attorno agli anni venti del secolo scorso, ma ancor più evidenziato dal concentrarsi sulla bellezza dei singoli fotogrammi, con la loro ricercata iconicità, al di là della continuità narrativa, in certe sequenze di alcuni film di Sergej Ėjzenštejn. Lo sprofondarsi dello sguardo di Roberto Mariotti in alcuni crepacci di roccia o il suo riaffiorare più aereo sembrano così esasperare quella ricerca di individualità, proprio all’interno di una coazione a ripetere. Proprio questo mi porta a ricordare le straordinarie parole conclusive di Massimo Scolari, in un suo breve testo dedicato al lavoro ossessivamente ripetitivo di Fausto Rossi in cui l’eccezionalità di qualche singolo elemento rivendicava con perentorietà la propria singolarità individuale al grido di ‘Io sono Fausto’. Ed è questa stessa singolarità che sembra riconoscersi all’interno della sequenza delle quindici vedute di Roberto Mariotti evidenziata in particolare dal suo sguardo sempre delicato, ma mai edulcorato. Riaffiora nell’intera serie costantemente l’idea ancestrale per cui le condizioni della vita umana, vegetale e minerale altro non sono che successivi passaggi del medesimo ‘soffio vitale’ come ha scritto Goffredo Fofi a proposito di un poema visivo del 2010 di Michelangelo Frammartino: “con la serena sicurezza di un Esiodo o di un Virgilio, una realtà intatta tutta di oggi, in luoghi lasciati ai margini della storia, del benessere, della modernità e tutta di ieri, se non forse di domani”. Roberto Mariotti mette così a confronto da una parte vagheggiati mondi perduti quasi di sapore pasoliniano che culturalmente, ma precedentemente, abbiamo imparato a conoscere attraverso l’opera di Robert J. Flaherty fino al ciclo dei “Dimenticati” di Vittorio De Seta, tra il 1954 e il 1959. Ma il tutto appare stemperato dalle raffinate e delicate ricognizioni naturalistiche di Franco Piavoli, o da quelle più amare della coppia armeno-italiana costituita da Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi o del cineasta americano di origine lituana Jonas Mekas con i suoi mitici videodiari. Dall’altra l’autore sembra volersi correggere a evitare qualsiasi cedimento sentimentale, quasi imponendosi un altro registro con un alternarsi armonico e lirico che mescola grandi varietà di piani, con inquadrature dall’alto o messe a fuoco ravvicinate. Tutto ciò sembra guardare a modalità costruttiviste/futuriste della composizione e ricostruzione della realtà, con le inquadrature inclinate, secondo una logica astratta costruita con rigore geometrico, fatta di luci e ombre, linee e volumi, che si fondano su valori visibili dell’atmosfera. Certo l’autore sembra rammemorarsi sia delle teorizzazioni del Bauhaus che delle avanguardie storiche, i cui riferimenti in particolare non possono che andare dallo Dziga Vertov del “L’uomo con la macchina da presa” del ’29 con la straordinaria fotografia del fratello Michail Kaufman, alle oblique distorsioni di Alexandr Rodcenko fino alle parallele, sia pure in altro contesto, ritmate visioni di Joris Ivens, ne “La pioggia” del ’29. Ma segnalo infine, per concludere, in particolare, un’incisione dedicata a Norchia del 12 aprile del 2021, con l’evidenza frontale della tomba nella parte inferiore con i due semifrontoni ribassati, che porta in alto quasi sospeso un mascherone incorniciato da un brulichio animato che le fa da corona. Ebbene questa incisione, tra le ultime e le più recenti, pare alludere a una nuova attenzione nei confronti del mimetismo proprio di Roger Callois e ai suoi scritti dedicati a ‘L’occhio di Medusa’ e a ‘L’uomo, l’animale e la maschera’. Ma questo, riteniamo, sia un nuovo modo di aprire, da parte di Roberto Mariotti, ad altri fronti di indagine, a nuovi mondi e nuovi modi. Una serie che non potrà quindi che continuare a ‘Futura Memoria’.
Francesco Moschini
Ma è soprattutto il taglio dello sguardo nei confronti di questi grandi frantumi a segnalare la perseguita unicità delle singole vedute che, non a caso, nella cartella, in maniera discontinua, quindi senza nessuna ricercata omogeneità di giacitura e conseguente piano di lettura, si presentano in successione tra ripresa orizzontale, ripresa verticale o messa a fuoco all’interno di un circoscritto riquadro. L’idea dell’unicità non può che discendere nella poetica di Roberto Mariotti dal lascito delle avanguardie storiche sovietiche in particolare dal formalismo russo, come egregiamente teorizzato da Viktor Šklovskij, nei suoi scritti attorno agli anni venti del secolo scorso, ma ancor più evidenziato dal concentrarsi sulla bellezza dei singoli fotogrammi, con la loro ricercata iconicità, al di là della continuità narrativa, in certe sequenze di alcuni film di Sergej Ėjzenštejn. Lo sprofondarsi dello sguardo di Roberto Mariotti in alcuni crepacci di roccia o il suo riaffiorare più aereo sembrano così esasperare quella ricerca di individualità, proprio all’interno di una coazione a ripetere. Proprio questo mi porta a ricordare le straordinarie parole conclusive di Massimo Scolari, in un suo breve testo dedicato al lavoro ossessivamente ripetitivo di Fausto Rossi in cui l’eccezionalità di qualche singolo elemento rivendicava con perentorietà la propria singolarità individuale al grido di ‘Io sono Fausto’. Ed è questa stessa singolarità che sembra riconoscersi all’interno della sequenza delle quindici vedute di Roberto Mariotti evidenziata in particolare dal suo sguardo sempre delicato, ma mai edulcorato. Riaffiora nell’intera serie costantemente l’idea ancestrale per cui le condizioni della vita umana, vegetale e minerale altro non sono che successivi passaggi del medesimo ‘soffio vitale’ come ha scritto Goffredo Fofi a proposito di un poema visivo del 2010 di Michelangelo Frammartino: “con la serena sicurezza di un Esiodo o di un Virgilio, una realtà intatta tutta di oggi, in luoghi lasciati ai margini della storia, del benessere, della modernità e tutta di ieri, se non forse di domani”. Roberto Mariotti mette così a confronto da una parte vagheggiati mondi perduti quasi di sapore pasoliniano che culturalmente, ma precedentemente, abbiamo imparato a conoscere attraverso l’opera di Robert J. Flaherty fino al ciclo dei “Dimenticati” di Vittorio De Seta, tra il 1954 e il 1959. Ma il tutto appare stemperato dalle raffinate e delicate ricognizioni naturalistiche di Franco Piavoli, o da quelle più amare della coppia armeno-italiana costituita da Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi o del cineasta americano di origine lituana Jonas Mekas con i suoi mitici videodiari. Dall’altra l’autore sembra volersi correggere a evitare qualsiasi cedimento sentimentale, quasi imponendosi un altro registro con un alternarsi armonico e lirico che mescola grandi varietà di piani, con inquadrature dall’alto o messe a fuoco ravvicinate. Tutto ciò sembra guardare a modalità costruttiviste/futuriste della composizione e ricostruzione della realtà, con le inquadrature inclinate, secondo una logica astratta costruita con rigore geometrico, fatta di luci e ombre, linee e volumi, che si fondano su valori visibili dell’atmosfera. Certo l’autore sembra rammemorarsi sia delle teorizzazioni del Bauhaus che delle avanguardie storiche, i cui riferimenti in particolare non possono che andare dallo Dziga Vertov del “L’uomo con la macchina da presa” del ’29 con la straordinaria fotografia del fratello Michail Kaufman, alle oblique distorsioni di Alexandr Rodcenko fino alle parallele, sia pure in altro contesto, ritmate visioni di Joris Ivens, ne “La pioggia” del ’29. Ma segnalo infine, per concludere, in particolare, un’incisione dedicata a Norchia del 12 aprile del 2021, con l’evidenza frontale della tomba nella parte inferiore con i due semifrontoni ribassati, che porta in alto quasi sospeso un mascherone incorniciato da un brulichio animato che le fa da corona. Ebbene questa incisione, tra le ultime e le più recenti, pare alludere a una nuova attenzione nei confronti del mimetismo proprio di Roger Callois e ai suoi scritti dedicati a ‘L’occhio di Medusa’ e a ‘L’uomo, l’animale e la maschera’. Ma questo, riteniamo, sia un nuovo modo di aprire, da parte di Roberto Mariotti, ad altri fronti di indagine, a nuovi mondi e nuovi modi. Una serie che non potrà quindi che continuare a ‘Futura Memoria’.
Francesco Moschini
20
marzo 2023
Roberto Mariotti – Metamorfosi
Dal 20 al 25 marzo 2023
architettura
arte contemporanea
personale
arte contemporanea
personale
Location
GALLERIA EMBRICE
Roma, Via Delle Sette Chiese, 78, (Roma)
Roma, Via Delle Sette Chiese, 78, (Roma)
Orario di apertura
dalle 17:00 alle 20:00, domenica chiuso.
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