18 marzo 2023

Tutti parlano di Jamie: un musical al di là dei generi

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Al Teatro Nazionale di Milano, il musical “Tutti Parlano di Jamie”, una storia di formazione contemporanea, per una generazione alla ricerca della propria identità. Intervista all’attore Giancarlo Commare

Tutti parlano di Jamie, Ph. Davide Musto

25 mila persone lo hanno già visto al teatro Brancaccio di Roma. È arrivato al Teatro Nazionale di Milano (fino al 26 marzo) “Tutti Parlano di Jamie”, il musical prodotto da Viola Produzioni di Alessandro Longobardi. L’edizione italiana del pluripremiato musical “Everybody’s talking about Jamie” è diretta da Piero Di Blasio, con le coreografie di Laccio, la direzione musicale di Dino Scuderi, le scenografie di Alessandro Chiti. Sul palco Barbara Cola (Margaret New), Franco Mannella (Hugo/ Loco Chanelle), Ludovica Di Donato (Ray), Lisa Angelillo (Miss Hedge), Benedetta Boschi (Pritti Pasha).

“Tutti parlano di Jamie” è una storia di formazione moderna per una generazione alla ricerca della sua identità, al di là del genere, dell’orientamento sessuale e delle convenzioni sociali. Una sorta di Billy Elliot che non vuole danzare. Vuole semplicemente indossare un abito con il quale sentirsi libero. Libero con la o, perché Jamie è un ragazzo che ama anche abiti femminili, che si sente a suo agio con la divisa maschile della scuola e le bellissime scarpe rosse, con tacchi altissimi, che gli ha regalato sua madre. Un ragazzo come tanti che debutta come drag su un palcoscenico ma che poi realizza che il suo vero palcoscenico è la vita di tutti i giorni.

Jamie è Giancarlo Commare. Nato in Sicilia a Castelvetrano il 29 Dicembre 1991, arriva a Roma per frequentare la scuola per attori Fondamenta. Nel 2015 il primo ruolo importante nella serie “Provaci ancora Prof 6”. Arrivano poi “Don Matteo 10” e “Un Passo dal cielo 4”, “I Bastardi di Pizzofalcone” e “Il Cacciatore”. Famoso nel ruolo di Edoardo Incanti in “Skam Italia”, è Antonio in “Maschile Singolare” e Manuel Bortuzzo in “Rinascere”.

Tanti ruoli cinematografici, ma mai un musical. Poi?

«Vengo dal teatro e il mio obiettivo era quello di tornare, prima o poi, in teatro. Non pensavo di farlo con un musical. Non era il mondo teatrale che cercavo. Mi piace cantare. Volevo vincere la mia paura del canto e sognavo di cantare davanti a un pubblico. Arrivo al musical perché Piero Di Blasio contatta la mia agente chiedendo di me per fare il provino».

Tutti parlano di Jaime è in realtà una grande operazione di educazione. Il teatro offre uno spazio di lotta e resistenza maggiore rispetto al cinema? Quanto i media contribuiscono a co-creare un rappresentazione deformata della realtà, dove le donne sono femminili, gli uomini maschili e i gay hanno le piume di struzzo?

«Credo che una simile operazione si possa fare al cinema come in teatro. Basta volerlo. Anzi, forse il cinema offre una visibilità maggiore. Sicuramente quello che ha fatto Alessandro Longobardi è una grande operazione educativa. Molti di quei 25mila spettatori sono state persone che non hanno mai trovato il loro posto nel mondo, forse perché qualcuno ha detto loro che non c’era. Grazie a questo spettacolo molti hanno detto: adesso so che c’è un posto anche per me.

Credo che i media, in generale, seguano le mode. Va di moda parlare di questo e ne parliamo. Ma spesso in modo distorto. Ciò che viene diffuso attraverso i media influenza tante persone: per questo la comunicazione dovrebbero avvenire nel modo più corretto possibile. E spesso questo non accade».

Tutti parlano di Jamie, Ph. Davide Musto

Jamie non parla solo di gender. Uno degli argomenti che affronta è il bullismo. Nel foyer si potevano lasciare dei post-it con messaggi. Qualcuno ti ha colpito più degli altri?

«Uno semplice scritto da un bambino. Spesso di dice “di certe cose non si può parlare perché ci sono i bambini”. Un bambino, dalla scrittura sembrava di circa sei o sette anni, ha lasciato un post dove c’è scritto “Jamie non ti devi vergognare”. Forse siamo noi adulti che dovremmo ascoltare i bambini».

Jamie racconta le forza delle donne e parla di famiglie di tanti colori diversi.

«Jaime parla della forza di un genitore che resiste a tutto e a tutti per crescere nell’amore il proprio figlio. Si parla delle donne che orbitano intorno a lui e che sono il vero motore di Jamie. La mamma, Pretti, l’amica della mamma che gli fa da padre.

Sono tutte famiglie. Jamie insegna che famiglia può essere anche una sola persona. Famiglia è dove trovi l’amore. Quando la professoressa chiama la madre di Jamie, si presenta anche l’amica. Perché quella è la famiglia di Jamie, raccontata nella battuta che fa sorridere, che dice “sono della famiglia, più o meno”.

C’è poi la professoressa che fraintende e risponde “adesso comincio a capire perché Jamie è così: perché ha una famiglia…“. La professoressa rappresenta quello che parte della società non capisce. Poi c’è la realtà, la quotidianità. Jamie alla fine dice: “quello è una favola, questo è il reale“.

Quindi, ad esempio, voi politici dite che non si possono avere delle famiglie uomo/uomo, donna/donna, che cambiare sesso è sbagliato. Sono tutte favole che state dicendo a qualcuno che vuole sentire le favole. La realtà è già oltre. È il caso che la smettiate di mettere in vetrina delle cose che non ci interessa vedere, perché la realtà è un’altra».

Tutti parlano di Jamie, Ph. Davide Musto

Jamie è rivoluzionario perché non parte dal cambiare gli altri, ma dall’accettare se stesso. Dividiamo sempre il mondo in blocchi contrapposti: alto/basso, giusto/sbagliato. Poi nella realtà amiamo i fiori diversi nella loro unicità

«Il vero cambiamento parte da te. Tutti, ad esempio, mi dicono che in Sicilia si mangia benissimo, che c’è una cucina estremamente variegata. È vero, ma la Sicilia ha questa varietà perché è stata conquistata da tantissime popolazioni diverse. Influenze diverse che hanno creato la Sicilia di oggi, che hanno influenzato la cultura, gli odori, profumi, i cibi di questa terra meravigliosa. Ed è per questo che la Sicilia piace così tanto: perché è variegata. Questo è un piccolo esempio per dire che le diversità ci arricchiscono. Ma stiamo ancora ognuno sulla propria isola a considerare l’altro uno straniero. Magari invece quello ti fa scoprire un nuovo modo di fare le cose, forse anche più semplice».

In Jamie all’inizio c’è un branco, alla fine c’è un gruppo. Non sono io che accetto te, ma noi due che impariamo a stare insieme. L’inclusione è diversa dalla tolleranza…

«Non ci può essere un io che accetto te, un io che devo comprendere te, se tu non ti sei spiegato bene. Ecco perché è un lavoro che si fa insieme. Io ho il diritto di essere quello che sono, ma devo anche essere chiaro su quello che sono, in modo che tu possa capirlo. La chiave è nella comunicazione. Si può essere unici stando insieme. Per me il concetto di inclusione è quello.

Spesso ho visto aprire delle conferenze dove si parlava di coraggio. Non dovremmo parlare di coraggio per esprimere noi stessi. Bisognerebbe semplicemente essere quello che siamo. Non dovrei neanche farmi il problema».

Tutti parlano di Jamie, Ph. Davide Musto

Dov’è Giancarlo in Jamie?

«In quel Jamie sognatore che non smetterà mai di sognare, che lotterà fino alla fine per realizzare i propri sogni andando contro tutto e tutti…».

“Non chiedere il permesso di essere te stesso” è una frase del musical. Jamie lo ha imparato a sedici anni. Tu?

«Intorno ai 28. Sono fortunato, perché non è semplice capirlo. Attorno a me vedo tante persone che mi dicono: io sto ancora in alto mare. E hanno la mia età o anche di più. Anche vent’anni più di me. Ecco perché mi sento fortunato».

Jamie viene rifiutato dal padre perché gli “fa schifo”. Molti figli vivono questo rifiuto per motivazioni diverse, anche non legate al gender. Semplicemente molti genitori si sentono delusi da figli che credevano fossero dei Lego, invece sono persone. Sei “come tua madre”, “come tuo padre”, “non sembri neanche mio figlio/a”. In realtà ogni persona è unica e irripetibile… è il “glitter sopra il grigio di città”.

«Quella è una ferita che credo non risolverai mai nella vita. Se trovi un modo per sanarla, potrai trovare un posto tuo e riuscirai a capire che nella vita ti meriti di essere felice. Spesso, quando ricevi un rifiuto di questo tipo, tendi a vivere cercando sempre di dimostrare qualcosa a qualcuno. E a volte lo fai nel modo non corretto, finendo su strade che ti portano lontano dai tuoi obiettivi proprio perché ti senti un fallimento. Non sei un fallimento: ti hanno fatto sentire un fallimento. E tu cerchi di colmare questi buchi in modo sbagliato. C’è poi chi riesce a trovare una via più sana: accade quando capisci che tutto quello che fai lo fai per te. Che non sei uno sbaglio e che quello che la vita ti dà te lo meriti».

Spiegaci meglio.

«I successi di chi ha lottato contro queste fratture, sono meritati. Credo sia una grande responsabilità mettere al mondo dei figli, soprattutto perché si deve valutare il fatto che una singola persona, un genitore, può cambiare l’intera esistenza di un altro essere umano. Questo lo devo prendere in considerazione quando decido di mettere al mondo un’altra persona. A volte non si è accettati anche per altri motivi. Io ho una grande consapevolezza: che sono felice. Sono sereno con me stesso. Io so cosa si prova a non essere accettato. A me dispiace che mio padre non sia felice per me, ma è stata una sua scelta e va bene così».

Tuo padre è nella tua vita e forse lui serviva a te per fare il tuo percorso. Poi lui ha il suo.

«La penso nello stesso modo. Quello che sono oggi, lo devo a tutte le esperienze che ho vissuto. Anche a quella».

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