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I Musei Vaticani riaprono le collezioni etnografiche africane e americane
Musei
Per celebrare la riapertura della sezione africana e americana, la scorsa settimana i Musei Vaticani hanno messo nuovamente in mostra i pannelli di rafia ruandese inviati dai missionari cattolici in Vaticano per un’esposizione del 1925 e, oggi, finemente restaurati. La mostra al Museo Etnologico Anima Mundi prevedeva una presentazione scientifica del processo di restauro e della ricerca che lo ha preceduto, con consultazioni con il museo etnografico del Ruanda e il Museo reale belga per l’Africa centrale.
Realizzati in bambù e fibre vegetali intrecciate, i paraventi Insika nascono come elementi d’arredo posti all’interno di residenze regali al fine di delimitare gli spazi da dedicare a diverse attività. Le operazioni di tessitura e intreccio delle fibre erano affidate per lo più a donne di alto rango, che replicavano motivi tradizionali. I pannelli dei Musei Vaticani sono decorati con raffinate forme geometriche ispirate a elementi del mondo animale e vegetale e il singolare intreccio di linee diagonali crea un gioco dinamico di chiaroscuri. I restauri sono stati condotti nel Laboratorio Polimaterico dei Musei Vaticani, con il coordinamento di Stefania Pandozy.
In un momento nel quale i musei etnografici in Europa e Nord America sono alle prese con le richieste dei gruppi indigeni e delle ex colonie di restituire manufatti risalenti all’epoca coloniale, la questione è controversa e urgente. La direttrice del museo, Barbara Jatta, non vi ha fatto un riferimento specifico nel suo intervento all’inaugurazione, sottolineando però l’impegno dell’Anima Mundi per la trasparenza e il «Dialogo con le diverse culture» e mettendo in evidenza come l’inaugurazione dei pannelli ruandesi abbia rappresentato un momento per celebrare la riapertura della sezione africana e americana del museo, nonché il 50mo anniversario del trasferimento dell’intera collezione negli stessi Musei Vaticani.
La questione della collezione etnografica vaticana è emersa lo scorso anno, quando gruppi indigeni del Canada sono venuti in Vaticano per ricevere le scuse di Papa Francesco riguardanti il sistema scolastico residenziale canadese gestito dalla chiesa. La Truth and Reconciliation Commission canadese ha affermato che la politica di rimuovere con la forza i bambini indigeni dalle loro famiglie nel tentativo di assimilarli nella società cristiana canadese equivale a “genocidio culturale”. Le delegazioni delle Prime Nazioni, Metis e Inuit hanno visitato il museo Anima Mundi e visionato opere parte del loro patrimonio culturale. I rappresentanti in seguito hanno affermato di pretendere la restituzione dei lavori o quantomeno di avervi accesso in modo da permetterne gli studi dalla popolazione indigena a cui appartengono.
Il Vaticano ha a lungo insistito sul fatto che la base della sua collezione etnografica derivasse da “doni” a papa Pio XI che, nel 1925, organizzò una grande mostra nei giardini vaticani per celebrare la portata globale della chiesa, i suoi missionari e la vita delle popolazioni indigene evangelizzate. Nacque così il Museo Missionario Etnologico, che fu ospitato nel palazzo Laterano fino al suo trasferimento, avvenuto agli inizi degli anni Settanta, nella sede attuale all’interno dei Musei Vaticani.
Alcuni ricercatori oggi si chiedono giustamente se i popoli indigeni fossero davvero in grado di acconsentire a tali “doni” date le dinamiche di potere dell’epoca. L’argomento resta aperto. Attualmente, il Museo Etnologico conserva oltre 80mila opere e manufatti, tra reperti preistorici provenienti alle testimonianze delle grandi tradizioni spirituali asiatiche, dalle produzioni dei popoli africani a quelle degli abitanti dell’Oceania e dell’Australia.