09 maggio 2001

Tra l’uno e lo zero assoluto

 
Biennale di Venezia, Padiglione sloveno, il testo introduttivo sull'iniziativa culturale. Tutto a cura di Aurora Fonda.

di

Absolute One è un progetto iniziato con il proposito di porre in rilievo le differenze che ancora sussistono nelle forme di espressione artistica e culturale che fioriscono nei cosiddetti paesi “non-occidentali”, nei quali un mercato in fase di assestamento e per certi versi ancora inesistente gioca un ruolo importante nello sviluppo non solo delle arti, ma in generale sul rapporto uomo/ogetto. Un approccio ancora in sottile contrapposizione alla politica occidentale, vista come un modello da imitare, anche se spesso acquisita come una formula imposta, dalla quale è impossibile sfuggire se si vuole operare all’interno di specifici parametri economici e culturali. Ma, per quanto affascinante l’argomento potesse essere, ci siamo accorti che era impossibile affrontarlo senza prendere in esame il processo globale in atto che sta cambiando le abitudini ed usanze della gente in tutto il mondo. Una specie di rivoluzione industriale, anche se la nostra potrebbe essere definita la rivoluzione informatica o dell’informazione che provoca un senso di perenne e frenetico movimento e mutazione. Viene da chiedersi, se tutto ciò non sia una semplice illusione, che nasconde un immobilismo secolare, estremamente produttivo esclusivamente per una cerchia ristretta di persone. Abbiamo, perciò interpellato degli esperti dei vari rami dello scibile umano, per sentire l’opinione di economisti, filosofi, sociologici, critici d’arte, artisti, che ci ha permesso di avere uno spaccato, per quanto piccolo e limitato delle diverse letture che questo fenomeno sta determinando. Tutte riportate sul sito web, dove chiunque desideri esprimere la propria idea è il benvenuto (http://absoluteone.exibart.com oppure www.absoluteone.ljudmila.org). La necessità di discutere l’argomento con studiosi di diversi campi, deriva come conseguenza della consapevolezza del ruolo attivo della politica economica contemporanea, dove risulta difficile scindere la pratica artistica da quelle che sono le relazioni, in fase di fluida elaborazione, tra politica, economia, tecnologia e la funzione che l’arte in questo contesto viene ad assumere. In alcuni dei testi e delle interviste raccolte, presentati in catalogo, riscontriamo interpretazioni entusiastiche di fronte alla possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico, grazie al quale è possibile accedere ad informazioni e a creare una rete di collaborazioni estremamente feconde, che solo pochi anni fa sarebbero state lente, se non impossibili. In altre si avverte invece una diffidenza generale nei confronti della omologazione delle arti in un linguaggio così potente e univoco come l’apparato tecnico/economico. Sarà ancora possibile, anche in futuro, che l’arte preservi almeno una parte dei suoi molteplici significati legati a un determinato modo di vita o ad una determinata cultura in un ambiente globale che tende ad una razionalizzazione degli scambi?
La facilità nello scambio culturale diventa uno strumento stimolante che porta a rivedere determinate posizioni, per esempio, quella delle istituzioni museali, che non possono ridursi essenzialmente a dei luoghi di accumulazioni delle opere d’arte, ma in qualche modo si devono attivare nella ricerca di relazionarsi attivamente non solo con gli artisti ed il loro contesto operativo che spesso esce dagli schemi predefiniti di queste strutture, ma anche nel ripensare le modalità espositive del lavoro artistico contemporaneo, il quale frequentemente si avvale di forme di espressione che usufruiscono delle possibilità offerte dalla tecnologia. Prendiamo l’esempio di Vuk Cosic, che è stato uno dei pionieri della net art, una forma di espressione divulgata attraverso il web e che usa soprattutto i linguaggi di un mezzo tecnico diventato oramai un mondo in cui si decide anche il destino di una arte che non si relaziona soltanto alla tradizione millenaria e simbolica dell’arte, ma che cerca al contempo il confronto con il contesto contemporaneo e con quella parte delle azione umane determinate dal potere economico e tecnico globale.
Nonostante musei ed istituzioni oggi, facciano a gara per commissionare opere in rete, queste potrebbero e possono vivere senza la presenza della sede espositiva, con una diffusione globale praticamente totale e in contemporanea, ora e ovunque. La classica sede espositiva in questo senso, non è più necessaria, ma il “museo” si sposta in uno spazio virtuale nel quale si allestisce il lavoro dell’artista. La cosa più paradossale, è che seguendo le tradizionali forme di mercato, i lavori creati per la rete sono stati messi in vendita, sono state organizzate mostre, aste, tutto nella forma del più classico mercato, andando a scontrarsi con delle contraddizioni, come per esempio il problema del copyright. Dove si trova la linea di confine che fa sì che un’opera sia un prodotto artistico, frutto dell’azione artistica, che come nessun altra definisce l’umano, mentre un’altra è semplicemente una copia?! Una questione perfettamente identificata dal gruppo di artisti denominato 0011010010101.ORG. quando nel 1999, “si appropriano” del sito hell.com, nel quale si svolgeva una mostra di net-art per i pochi eletti possessori della password e lo divulgano liberamente sul proprio. Il gesto di pirateria attuato da 001 (abbreviamo) ha messo il dito nella piaga di un problema che non riguarda solo la net-art, ma ormai qualsiasi forma d’arte che sia riprodotta centinaia di volte, che usi delle forme di espressione come video, web, manifesti e non solo. Gesti privi della consistenza dell’oggetto come quello dei 001 gesti in fondo invendibili, sono oggi a volte di maggior impatto artistico, poiché agiscono penetrando direttamente nel circuito dell’informazione. Ma ovviamente tutto il mercato dell’arte deve trovare qualche cosa da scambiare, barattare, trasformare in danaro, e dunque, è fondamentale mercificare anche situazioni ed eventi nati con spirito antitetico. Tipico esempio è stato il processo di storicizzazione del gruppo Fluxus, noto per le sue performance, momenti di intensa energia, che dovevano rimanere un ricordo nella memoria, al massimo documentati con dei video. Oggi, i frammenti rimasti di questi eventi si trovano ad essere catalogati in musei, gallerie, e soprattutto ad essere pagati a caro prezzo per essere acquisiti. E’ la legge del mercato, dove persino l’informazione produce profitto, mercificando eventi che accadono accidentalmente. Veri e propri processi creati e distrutti dai mezzi di comunicazione, che detengono un potere immenso, dove solo notizie condite con particolari ingredienti riescono a superare le barriere imposte da regole fisse: riuscire ad ottenere l’attenzione di un vasto pubblico. Dunque diventa di fondamentale importanza appropriarsi di situazioni che potrebbero essere delle bombe medianiche e pertanto produrre danaro senza perdere l’essenziale differenza dell’azione artistica dal fare economico e tecnico. Anche il personaggio di Darko Maver, inventato a tavolino da 001.ORG, aveva tutti gli ingredienti per esserlo, artista serbo, proveniente da un paese in guerra, storia tragica, con tanto di morte finale. Così è riuscito ad entrare non solo nel circuito dell’informazione, ma anche in quello dell’arte. Tutti conoscevano Maver, seppure nessuno l’aveva mai visto, l’importante era la notizia, la più preziosa merce della contemporaneità, e che si vende al prezzo più alto di qualsiasi altro prodotto, e rappresenta il migliore biglietto da visita per superare qualsiasi barriera, anche diffidenza del pubblico artistico.
Dunque, anche se l’arte si avvale delle facilitazioni offerte dallo sviluppo tecnologico, anche se spesso gli artisti riescono ad esprimersi con i mezzi ed i linguaggi prodotti dalle nuove invenzioni, è fondamentale che l’arte non si identifichi con la tecnologia e il suo scopo. Infatti, non c’è enigma o realtà che la tecnologia a differenza dell’arte sia capace di svelare! Ed è questo il suo ruolo anche oggi. Dunque, se l’artista si trova ad abitare una realtà dove il suo interesse si volge verso situazioni situate al di fuori di quel mercato globale, dalla logica della merce che sta annullando differenze per una e semplificatante omologazione, egli deve aprire all’interno di un tale sistema lo spazio per il diverso. Agendo in un ambiente totalmente economico e tecnologico l’arte deve trovare la sua relazione con le tradizioni e realtà più antiche e arcaiche dell’uomo. Solo così si può mettere in evidenza la relazione e l’interdipendenza, ma anche la diversità essenziale del lavoro artistico dal fare economico.
L’opera di Tadej Pogacar per esempio, direttore del PARASITE Museum, ed esponente del nuovo parassitismo, vuole essere un modo per dare spazio a tutti coloro che operano al di fuori delle economie legalmente riconosciute, i senza casa, i vagabondi, le prostitute. Egli stesso rappresenta una struttura che non produce denaro, visto che deve appoggiarsi sempre ad altre situazioni per sopravvivere. L’icona, per esempio, un riferimento al progetto ideato per la Biennale, viene ospitata da vari esercizi della città che diventano a loro volta sede espositiva, ma anche il luogo di sfruttamento da parte di questa nuova entità di parassita! Ma, se l’icona rappresenta una forma di utilizzo da parte dell’artista di spazi alternativi trasformandoli in temporanei musei, il gesto di collaborare con il sindacato per i diritti civili delle prostitute di tutto il mondo assume un ulteriore significato. La prostituzione da sempre un vero e proprio universo parallelo, governato da leggi proprie, che non possiede un vero e proprio legame con il sistema economico “ufficiale”, che difficilmente può adeguarsi a quelli che sono ormai le regole di un mercato globale. In un certo senso la prostituzione, come l’arte, si trovano nella medesima situazione, e si pongono il quesito su come si possa salvaguardare dalle regole di un mercato globale coloro che operano in questi ambiti. Perciò, l’intervento di Tadej Pogacar, oltre ad essere un’opportunità per dare voce a questa categoria, è anche un modo per porre in rilievo e catturare l’attenzione su tutti quei mondi che continuano a gravitare al di fuori dalle logiche globali. Anzi, si potrebbe dire che per alcune di queste categorie è una necessità, per continuare ad esistere, mantenere e evidenziare quella inadeguatezza di fronte alla tecnica, che solo l’umano possiede. In effetti, liberano lo sguardo, la riflessione e l’intuito per quell’entità che è l’uomo e la sua storia economica e artistica, di fronte alla stasi assoluta che l’utopico mondo dominato dalla razionalità della tecnologia, sostenuta dalla politica economica globale, vorrebbe determinare.

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