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Tra mecenatismo ed imprenditoria: il collezionismo di Giuseppe Panza di Biumo
Absoluteone
di Alfredo Sigolo
Innanzitutto, se a qualcuno non è ancora chiaro, diciamo subito è italiano uno dei più grandi collezionisti d’arte contemporanea del nostro tempo. Di Giuseppe Panza di Biumo (Milano, 1923) si riconoscono ormai unanimemente le capacità di grande mecenate e intelligente imprenditore dell’arte contemporanea...
Innanzitutto, se a qualcuno non è ancora chiaro, diciamo subito è italiano uno dei più grandi collezionisti d’arte contemporanea del nostro tempo. Di Giuseppe Panza di Biumo (Milano, 1923) si riconoscono ormai unanimemente le capacità di grande mecenate e intelligente imprenditore dell’arte contemporanea...
di redazione
Grazie anche alla sua attività, la critica sta procedendo ad una giusta riequilibratura dei valori nella storia dell’arte degli ultimi 50 anni. La riscoperta di artisti sottovalutati ma anche la promozione di un nucleo di nomi di ultima generazione sono il frutto di una intensa attività del conte Panza per la promozione della propria collezione, in Italia e all’estero.
In oltre 40 anni di appassionato collezionismo Panza ha raccolto qualcosa come 2500 opere d’arte: negli anni ’50 collezionò Kline e Tapies, sul finire di quella decade e all’inizio degli anni ’60 acquistò gli artisti pop, ma dal ’66 in poi si è dedicato anima e corpo alla corrente minimal, non quella che gli storici vogliono a tutti i costi costringere in un ambito cronologico e nella quale nessun artista si è mai riconosciuto, bensì quella che intende raggruppare, sotto una definizione forse arbitraria ma condivisa, una modo di intendere lo spazio e la luce, ispirato alla sintesi assoluta, alla ricerca di una nuova misura aurea dell’arte.
Giuseppe Panza fu tra i primi ad investire negli artisti minimalisti quando le loro opere non le voleva nessuno: troppo difficili da capire per il pubblico (quelle forme fredde e geometriche, quell’uso di materiali industriali, quella tendenza a spersonalizzare la figura dell’artista non convincevano un pubblico abituato alle esplosioni cromatiche dell’informale e ad una pittura gestuale ed espressionista), troppo ingombranti perfino per i musei, costruiti spesso secondo regole antiche, napoleoniche potremmo dire, memori del lusso delle wunderkammern dell’ancièn régime.
Oggi le cose sono alquanto mutate e oltre la metà delle opere della collezione Panza si trova in musei pubblici. Proprio la museologia e l’idea stessa del museo è stata ed è, in questi anni, motivo di dibattito e discussione: non si tratta solo di strategie di marketing, piuttosto è mutato, a livello internazionale, il modo stesso di pensare lo spazio museale: dal progetto architettonico fino alle politiche espositive, agli allestimenti, alle tecniche di conservazione e quant’altro.
In verità il museo si deve adeguare alle esigenze dell’arte contemporanea. L’Arte chiede spazi.
Nel nostro tempo gli artisti affidano sempre più la loro creatività a materiali, strumenti e mezzi che fino a poco tempo fa si sarebbero detti extra-artistici: oggi sono la fotografia o la rete internet, ma già da decenni siamo abituati ai video, alle installazioni e alle performance. Fu forse proprio l’arte minimal a dare continuità a questa attitudine servendosi spesso dei materiali di produzione industriale e progettando opere di grandi e grandissime dimensioni (ricordate le spiralone metalliche di Serra alla Biennale?). I musei sono dunque costretti ad interrogarsi ed a progettare spazi idonei ad accogliere le nuove espressioni artistiche dell’arte contemporanea.
Recentemente, alla conferenza stampa tenutasi a Verona per l’inaugurazione della mostra dedicata ad una selezione di opere della collezione Panza provenienti dal Guggenheim di NY, Germano Celant ha voluto, nella sua qualità di senior curator del museo americano, sottolineare le mosse fatte dalla fondazione Guggenheim per adeguarsi alla nuova situazione. La Guggenheim ha intrapreso da anni ormai una nuova politica che ha portato alla nascita di una multinazionale dei musei, una sorta di catena di Guggenheim: la nuova sede di Soho, Venezia, Bilbao, Berlino e ora il progetto per la nuova Guggenheim in laguna, alla dogana.
Celant ha sostenuto che il museo moderno deve essere innanzitutto egli stesso collezionista, collezionista di collezioni, diventare cioè contenitore idoneo ad accogliere i lasciti del grande collezionismo del XX secolo, i frutti di un periodo straordinario del mercato dell’arte che ha mutato la figura del collezionista: l’opera d’arte è un piacere estetico e intellettuale, realizza un appagamento dello spirito e costituisce uno status symbol, ma oggi rappresenta anche (a seconda dei punti di vista e dei venti dell’economia) un’occasione di investimento o un bene di rifugio.
A Giuseppe Panza bisogna riconoscere il merito di aver operato attivamente per la valorizzazione della propria collezione e dei suoi artisti; la sua è stata fin dall’inizio una strategia tutt’altro che attendista. Nella fase iniziale della loro carriera gli artisti di Panza potevano contare su un ottimo mecenate, che li sosteneva acquistando un numero cospicuo dei loro lavori, spesso in blocco o commissionati ad hoc, molti di grandi dimensione. Ma fu negli anni ‘80 che il collezionista inaugurò una vera opera di promozione della collezione, che continua tutt’oggi. Nell’’84 80 opere di importanti artisti americani furono vendute al MOCA di NY per 11 milioni di dollari (!) ed in seguito un nucleo consistente al Guggenheim di NY; alla vendita il collezionista alternò sapientemente l’utilizzo del contratto di comodato d’uso per depositi temporanei (gratuito per definizione, il comodato consente al soggetto comodante di conservare la proprietà dell’oggetto del contratto): fallita la trattazione con il Castello di Rivoli nella fase della sua istituzione, oggi risultano 50 opere in comodato per 5 anni al Palazzo Ducale di Gubbio, 70 al museo di Rovereto (la cui apertura è prevista per il 2002 su progetto di Mario Botta), 37 al Palazzo della Gran Guardia di Verona; 51 opere saranno date in comodato al Palazzo Ducale di Sassuolo dal settembre 2001. Accanto ai depositi, secondo uno spirito mecenatistico che ben si integra con l’abilità imprenditoriale, Giuseppe Panza ha donato nel 1996 al FAI la propria casa di Biumo (Varese) e le 133 opere che risultano oggi esposte, e nello stesso anno ha ugualmente donato 200 opere al Museo Cantonale di Lugano. L’archivio della collezione dal ’56 all’’87 si trova al Getty Center for Art and Humanities di LA; significativo è notare che l’Italia non sia riuscita, per mancanza di fondi, strutture o sensibilità a conservare sul proprio territorio patrimoni documentari come questo.
A dimostrazione della volontà del collezionista di promuovere le nuove istanze post minimaliste (forse migliore è la definizione di “minimalismo intimista”), nel ’97 un gruppo di opere di artisti degli anni ’80 e ’90 della collezione sono stati esposti ad Artissima (TO), mentre appena il mese scorso si concludeva una rassegna organizzata dal F.A.I. col sostegno di Prada (tenutasi alla Bocconi e all’Accademia di Brera di Milano) per mettere a fuoco le ultime scelte di Giuseppe Panza: David Simpson, Max Cole, Ann Ruth Fredenthal, ecc.
Non ho la pretesa di aver fatto un quadro esauriente sul grande collezionista italiano, tuttavia mi sembra sia abbastanza per condividere la dichiarazione di Celant che pone Giuseppe Panza nell’Olimpo dei grandi collezionisti, con Mellon, Solomon Guggenheim, Rockefeller, ecc.
Il Conte di Biumo non ha mai nascosto la volontà di operare a stretto contatto con gli artisti che colleziona e i suoi contributi sui cataloghi pubblicati intorno alle mostre della sua collezione mostrano capacità critica non comune e profonda conoscenza, non disgiunta da un grande afflato romantico. Ma i suoi rapporti con gli artisti non sono sempre stati idilliaci: fece scalpore, ad esempio, la lettera di Donald Judd pubblicata dalla rivista “Beaux Art” (n. 81 del 1990, p. 14) in cui l’artista criticava l’operazione della vendita di opere al Guggenheim.
Mecenate e filantropo, imprenditore o speculatore: in molti hanno preso posizione su Panza che, ad ogni buon conto, resta un esempio significativo di come sia cambiato il collezionismo. Giuseppe Panza ha sempre dichiarato il proprio desiderio di poter condividere la propria passione con il maggior numero di persone possibile. Ciò farà sorridere alcuni e tuttavia bisogna dire che Panza è un tipo che gioca sempre a carte scoperte: sceglie le opere da esporre alle mostre, consiglia gli allestimenti, scrive, promuove iniziative personalmente e non nasconde i suoi movimenti sul mercato. Certo che se un collezionista di quel calibro si attivasse con l’arte italiana come ha fatto Panza con i giovani artisti americani e tedeschi…
Si attendono candidati.
Articoli correlati:
Stuart Arends e Katharina Grosse
Giovane minimalismo intimista
Lawrence Carroll
Su Villa Menafoglio donata al F.A.I.
Link correlati:
Sito di Villa Menafoglio
(con visita virtuale al museo)
<b<Alfredo Sigolo
[exibart]
Un articolo ben condotto, coinvolgente, con una chiosa propositiva che spero sarà accolta da molti degli interessati. Complimenti!
Spacchi il Bose vecchio!
Ci vediamo alla Vacca!
Bigoli col pisto!
Vale la pena di segnalare anche qui l’articolo spagnolo seguente http://www.elmundo.es/diario/cultura/1020952.html; il panorama si fa ancor più definito.
E certo, questo compra le opere, le tiene, aspetta che gli artisti diventano un minimo noti, poi le presta ai grandi musei cosi la gente le vede, entrano nell’immaginario, decuplicano il loro valore. Poi se le riprende e monetizza……collezionismo?
E’ un bravo imprenditore direi !!
Mi permetto di segnalare un articolo de “Il Tempo” http://www.iltempo.it/giornale/ultima/iltempo/nazionale/spettacoli/SE4INT.htm
Si tratta di un’intervista a Julien Stock, responsabile del settore dipinti antichi di Sotheby di Londra.
Mi sembra significativa questa risposta:
“Certamente la valutazione dei dipinti in Italia è sempre più bassa degli altri paesi europei dove c’è libertà di movimento, in Italia ci sono leggi fasciste che reprimono il mercato, ad esempio in America il mercato dell’arte è il più libero del mondo e pertanto è anche il mercato più fertile. In Italia il mercato è il meno libero e le valutazioni sono consequenzialmente le più basse”.
ovvio che faccia un affermazione del genere dopo che shotebies o come diavolo si scribacchia ha avuto un pesante smacco sul mercato italiano. A fronte di un guadagno di tutte le altre case d’asta, Finarte e Semenzato in testa, shotebies quest’anno ha fatto flop. allora non dicono che sono stati cattivi imprenditori ma che ci sono leggi fasciste. Andassero a quel paese. Cosi è facile.
Da notare che in qeusti giorni il patron di Telemarket Corbelli sta comperando la Finarte e la fonderà a Semenzato che è già sua andando a creare uno tra i primi gruppi di auction in europa…proprio nel paese fascista guarda un po.
Che da qualche punto di vista legislativo siamo arretrati sarà anche vero ma da qui a dare credito a questo cafone ce ne corre!
E’ incredibile che un personaggio datato e disinformato come Panza goda ancora di qualche prestigio nel nostro paesotto!!!
Per Elia: perché non ci dici qualcosa di più? Mi piacerebbe sentire una voce contraria alla mia, che magari mi faccia anche cambiare idea. L’argomento mi interessa e il mio invito è sincero.