Categorie: altrecittà

Alice e Schivardi a New York

di - 31 Gennaio 2014
Alice 1– Mi ritrovo qui, a New York, ancora una volta con l’intento di raccogliere nuove e differenti, ma umanamente assai simili, storie da ricamare e da cucirmi addosso. Non posso fare a meno di perdere una casa per acquisirne invece una “portatile”, che ha fondamenta nel mio cuore, dove accolgo, in silenzio, quanto più vissuto mi è possibile cogliere…
Alice 2– Nella subway come procedono tutti a passo svelto! Quanto si affannano, ognuno sui propri personali binari.
Al 1– La subway è decisamente un luogo democratico: la percorrono tutti!
Al 2– Sì, però è sporca e ci sono i topi!
Al 1– Ma nelle arterie della subway ti capita di assistere a concerti mozzafiato, scendi le scale di una fermata qualsiasi e vieni catapulta nell’atmosfera di un locale soul, piuttosto che in quella di un locale portoghese dove si ascolta il fado, o in un pub irlandese con musica folk…è come se ci fosse il mondo concentrato in un treno, con decine di vagoni e tu sei in corsa che devi scegliere quanto e dove e con chi stare, tutti lì che sfilano davanti ai tuoi occhi, chi ha sonno, chi ha fame, chi sta bene, chi sta male, chi sta peggio…
Al 2– E di fronte a tutto questo, Alice, cosa ti balena in mente?
Al 1– Mi nasce la spinta per creare qualcosa che nomini e restituisca il respiro di tutti: loro, me e questa città! Mi sale potente il desiderio di disegnare e ricamare le loro storie ed insieme alle loro la mia.
Al 2– Così cominciamo ad andare d’accordo! Si potrebbero cucire tutte le loro storie in un unica grande opera: potremmo testimoniare che c’è tanta umanità anche in questa America, un’umanità che pullula, un intenso senso di appartenenza, pieno di contraddizioni, ma realmente esistente…
Al 1– Mi dispiace dirlo, ma hai ragione… anch’io mi trovo a mio agio in questa subway, mi sento inspiegabilmente appartenere a tutto e a tutti e sembra che ci sia un pezzettino di me, della mia storia, della mia gioia, del mio dolore in ogni persona che incontro…
Al 2– Dobbiamo scendere, siamo arrivate in studio, a Bushwick, all’ISCP!
Al 1– Che è come un grande foglio bianco, una scatola dalle pareti intonse…
Al 2– E con quali tipo di suggestioni intendi riempirlo? Da dove vuoi inizi il tuo viaggio?
Al 1– Qui, forse più che in qualsiasi altro luogo da me percorso, credo sia difficile cominciare a mettere un segno sul foglio, dal momento che il materiale è così tremendamente abbondante e così intenso da ammutolirti. Rischi la paralisi.
Al 2– Come quando entro in contatto con le famiglie per il mio progetto work-in-progress. Grazie alla molteplicità del materiale umano, qui trovo particolarmente interessante procedere nell’indagine rispetto a nuclei familiari provenienti da diversi luoghi e differenti background, perché in questo pezzo di terra la forza delle persone e delle loro storie è inverosimilmente straordinaria!
Quando si incrociano a ravvicinate distanze le storie delle persone, ci si trova a respirare sentimenti sottili, ed è necessario, oltre che etico, muoversi, quasi danzare, con molto tatto, molta delicatezza. Io ho deciso di concedermi del tempo, di ricamare ogni giorno, ogni settimana, ogni mese le mie impressioni per tutti e cinque i mesi delle mia residenza in modo da riuscire, con i disegni che spontaneamente scaturiranno, a ragionare su ciò a cui sto assistendo e che dentro di me sta accadendo. Ho scelto di utilizzare il foglio di carta da lucido come mappa delle mie elucubrazioni, una sorta di diario a ricamo. È come se in questo mondo così rapido e frenetico mi risulti necessario creare un codice parallelo, che mi permetta di disegnare una mappatura che lavi, come solo l’acqua sa fare, le mille sollecitazioni, che scandisca il pensiero, regolarizzi il respiro fino ad arrivare a fondersi, volendo e potendo, col respiro della città stessa che ora mi sta ospitando.
Al 2– Qui in America bisogna correre, non vedi quanti risultati hai già ottenuto? Immagina quanti ancora potresti ottenerne!
Al 1– È vero! Non smetto mai di immaginare una prossima meta, un prossimo confine da profanare, un limite da superare, un obiettivo da raggiungere, ottenere. E’ tutto molto più decentrato, orientato verso i risultati che è personalmente possibile ottenere, ed ottenerli sancisce il grado di successo, di influenza e rispettabilità che ha il singolo individuo. Non ho ancora capito se questa filosofia di vita possa piacermi o meno. Ci sto riflettendo…
Al 2– Infatti, sarebbe interessante capire quale sia il grado di soddisfazione di chi appartiene a questo meccanismo.
Al 1– Mi ricordo di una statistica che segnalava come, nonostante l’evidente e abbastanza diffuso benessere, i newyorkesi sembravano essere fra le persone più infelici al mondo!
Al 2– Forse sarà tutta questa velocità…bisogna respirare!
Al 1– Bisognerebbe cercare il modo di essere felici seguendo i propri ritmi..
Al 2– Certo il tuo studio è luminoso! Guarda che belle finestre che hai! Fanno entrare tanta luce e con questa tanta vita!!! Un respiro sul cielo ad un altro altissimo livello.
Al 1– Come i musei, che qui a NYC rappresentano bene i propri artisti, organizzando delle mostre davvero inaspettate!
Al 2– Come ti sei sentita quando hai visto la mostra di Mike Kelley al PS1?
Al 1– Quando sono entrata, ho percepito immediatamente l’essere totalmente assorbita dal suo mondo. Chi l’ha allestita è stato indubbiamente molto capace e attento rispetto al coinvolgimento del potenziale pubblico. Questa è una delle cose che apprezzo di più nelle mostre: la capacità di inventare un ambiente, di farti sentire al centro di un’esperienza totalizzante, immersiva, unica. Ti senti davvero al centro, come in un film, del quale tu sei uno dei molteplici protagonisti…
Al 2– È vero, qui a New York hai la sensazione che qualsiasi cosa possa succedere proprio a te.
Al 1-Tu puoi essere chiunque: puoi essere Mike Kelley che a sua volta potrebbe essere uno dei personaggi che incontri nei sotterranei della subway!
Al 2– Anche la velocità con cui le persone entrano nella tua vita, la stessa velocità con cui entrano ed escono dalle porte della subway…
Al 1– Come l’altra notte quando hai conosciuto quella coppia fantastica (Ben e Andrew), un giornalista e un video-editor e con loro ti sei ritrovata fino a tarda notte a guardare i video di Louise Bourgeois nella loro casa a Long Island, dove tutto sembrava proprio come in un film, con le casette a schiera colorate ed il garage annesso, il luogo dove accade ogni volta la qualunque.
Al 2– Alice, ma guarda che quella non è la nostra fiaba, non è la casa del Bianconiglio!
Al 1– Ah, non posso più parlare con te, sei poco seria, e il discorso sull’Arte!?!
Al 2– Nella mia residenza all’ISCP i corridoi sembrano essere attraversati dai frenetici flussi di pensiero degli artisti che la abitano. All’improvviso gli artisti italiani diventano più solidali fra di loro, il fatto di essere lontano da casa ti unisce come è successo con Andrea Mastrovito, Giorgio Andreotta Calò, Sven Sachsalberg e Maria Rapicavoli dei quali ho potuto apprezzare sicuramente meglio i rispettivi processi artistici. per non parlare di altri due artisti italiani ex residenti dell’ISCP che mi hanno dato consigli importanti per il mio lavoro qui: mi riferisco a Donato Piccolo e Arianna Carossa. Grata.
Al 1– E hai legato anche con altri artisti?
Al 2– Sì, certo! Prezioso l’incontro con le sorelle Mangano da Melbourne-Australia o Yonseng dalla Corea del Sud, Tricia Hamilton che appare e scompare in maniera random sempre indossando le sue cuffie…
Intenso poi il ritrovarsi tutti insieme per qualche party, nello spazio cucina che sta proprio al mio stesso piano: ognuno cucina una cosa o porta da bere e ci godiamo questo bellissimo edificio che è la nostra residenza in un clima più festoso e condiviso.
Al 1– Non ti nascondo che sarà difficile andar via, abbandonare tanti volti, tanta diversità, tanta vita!
Al 2– Non me ne andrò del tutto infatti, un po’ del mio lavoro, dei miei pensieri è qui che resteranno! Un luogo di cui ti sei innamorata, da quel momento dopotutto è tuo per sempre.

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