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Biennale di Istanbul: Untitled

di - 8 Novembre 2011
È volutamente Untitled la dodicesima edizione della Biennale di Istanbul che, aperta il 17 settembre scorso sta per concludersi il prossimo 13 novembre. La scelta del non titolo, volutissima dai due giovani curatori, Jens Hoffmann e Adriano Pedrosa, si accorda perfettamente all’intenzione di indagare, in modo profondo, i forti legami tra l’arte e la politica, tra una dimensione privata e quella pubblica. All’insegna dell’idea che nella realtà attuale, il senso e i significati sono sottoposti a trasformazioni così rapide, tanto nel tempo quanto nello spazio, da rendere impensabile la possibilità di congelarli in un nome, una definizione.
La dodicesima Biennale turca non è costituita da un’unica mostra, perché mette insieme cinque esposizioni collettive e più di cinquanta mostre personali. La pluralità dell’offerta espositiva, tuttavia, non determina una sensazione di dispersione o spaesamento, dal momento che tutti gli eventi espositivi sono raccolti in un unico luogo.
Anche l’assenza del titolo, pur lasciando grande libertà agli artisti, non rappresenta un’occasione per disperdere i contenuti, ma anzi costituisce un filo rosso, una scelta politica, nella misura in cui si lega alla ricerca artistica di Felix Gonzalez – Torres (1956-1977), cui è idealmente dedicata l’intera manifestazione.
Infatti l’artista cubano americano, tanto nella vita quanto nella carriera, ha unito la dimensione privata con quella pubblica portando avanti, a partire dalla sua realtà personale, la lotta per i diritti delle coppie omosessuali e quella contro la diffusione e per la prevenzione del virus dell’AIDS.

Le cinque mostre collettive, dunque, pur essendo tutte Untitled, si fregiano ciascuna di un sottotitolo, dato dal nome di un’opera di Gonzalez – Torres cui fanno riferimento. La prima è Untitled (Ross), in cui gli artisti sono stati chiamati a confrontarsi con l’omonima opera di Gonzalez – Torres (1991) costituita da un insieme di caramelle, separatamente incartate, per il peso totale di circa 80 kg, che rappresenta un metaforico ritratto del suo compagno, Ross Layacock, scomparso precocemente nello stesso anno, dopo aver contratto l’AIDS. L’opera prevedeva sin dall’origine il coinvolgimento del pubblico, chiamato a prendere, come un dono o un offerta, una caramella dall’insieme ed entrando così a partecipare ad una sorta di commemorazione collettiva (in qualche modo vicina al rito dell’eucarestia) dell’amante drammaticamente scomparso.
La seconda esposizione Untitled (History), come la terza Untitled (Abstraction), si riferiscono non a opere in particolare, ma a dei concetti sviluppati da Gonzalez – Torres in diverse lavori che hanno comunque segnato tappe fondamentali nella sua ricerca artistica. Nel primo gruppo di opere il riferimento è prettamente letterario, perché il focus è su una serie di eventi storicamente significativi, mentre nel secondo caso protagonista è la relazione con le principali correnti artistiche della contemporaneità, come il minimalismo e l’astrazione geometrica.

In Untitled (Passport#II) (1993),come si evince dal titolo stesso dell’opera, costituita da un insieme di libricini, metafora dei passaporti, recanti in copertina l’immagine di un uccello in volo verso un cielo tempestoso, punto di partenza per l’esposizione è una riflessione sulle frontiere sui confini, che l’artista cubano di nascita e americano di adozione aveva ben conosciuto nella sua vita. Il pensiero è quello di proporre un mondo libero e aperto che vada al di là della ristretta idea di identità dichiarata dai documenti visti nello stesso tempo sia come un mezzo per raggiungere la libertà di movimento sia come la causa di una vita forzatamente ristretta. L’ultima sezione: Untitled (Death by Gun), prende le mosse dalla drammatica serie di Gonzalez – Torres del 1990, in cui su diversi fogli sono riportati i nomi di tutte le persone assassinate per mezzo di arma da fuoco negli Stati Uniti in un determinato periodo. Agli artisti coinvolti è stato chiesto di condurre una riflessione sul medesimo argomento in chiave sia storica sia attuale.
Alla Dodicesima biennale di Istanbul prendono parte artisti provenienti da tutto il mondo, molti provengono dal  Sud America e dalla Turchia stessa e hanno scelto di partecipare con diverse opere portando il loro contributo alle varie sezioni della Biennale.
Anche le numerosissime mostre personali, allestite accanto alle collettive mantengono un legame con la linea principale di ricerca, l’opera di Gonzalez-Torres.
Indubbiamente una tematica coraggiosa e difficile in un paese che sta lottando per entrare nell’Europa e che da sempre è caratterizzato da conflitti legati all’identità e all’appartenenza, a cominciare dalle problematiche religiose, per arrivare all’introduzione dell’alfabeto occidentale. Rappresenta un’operazione culturale importante, dunque, questa Biennale, che attraverso l’arte si propone come obiettivo di agevolare il cambiamento e l’evoluzione sociale. La stessa assenza del titolo rappresenta, infine, una sfida e una provocazione per il pubblico, che, in questo modo, viene invitato a non essere un passivo visitatore ma ad assumere un ruolo attivo nella fruizione della manifestazione. Sarà compito di ciascuno infatti attribuire un proprio significato e sistema di valori alle mostre proposte.
a cura di ludovica palmieri
foto il alto:  Untitled (Passport), General View, 2011, Photography: Natalie Barki
[exibart]

Visualizza commenti

  • Ieri mattina ero lì (oltre che al museo di arte moderna dove però non si poteva fotografare) ed ho visto tanti lavori interessanti.
    Si poteva fotografare e quindi l' ho fatto.
    Si respirava un' aria internazionale e molto giovanile.
    Interessanti anche gli spazi espositivi, costituiti da pannelli verticali di lamiere grecate (all' interno le pareti erano rivestite di cartongesso) effetto containers un po' distanziati fra loro.

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