Nonostante il successo di pubblico (non a caso) della mostra del Vittoriano, finora sono stati molti i detrattori di Fernando Botero. Tra le voci più autorevoli che fino a pochi anni fa avevano “cassato” la sua opera, notevoli critici come Arthur Danto e Rosalind Krauss: il suo tipo di arte non sarebbe riconducibile a certa estetica dell’arte contemporanea; le sue opere “sono semplicistiche caricature di figure in carne”. Queste le ragioni della stroncatura, ma è davvero tutto qui?
Comunque, anche questo non spiegherebbe perché i suoi “volumi” piacciano ancora. Forse è per via di una ossessione tutta moderna per le taglie grandi? E se ancora sussiste questo scollamento di pensiero tra gli addetti ai lavori (leggi snob o gusto) e i meno colti (leggi comuni mortali), ci sarà una ragione? A dispetto di tutto, per qualche motivo, Botero è in mostra a Roma (fino al 27 agosto). Diverse le motivazioni della mostra, che al di là della certezza di riempire le sale, è senz’altro un’occasione per riaccendere il dibattito, suscitare un confronto tra le voci dissonanti e riconsiderare l’opera di Botero alla luce delle ultime letture.
Fernando Botero, Contorsionista, 2008, Olio su tela, 135×100 cm
Il confronto sembra più che possibile poiché l’esposizione porta un carico di 50 opere (provenienti dai musei di tutto il mondo) e può così tracciare buona parte della carriera del pittore colombiano (nato a Medellìn nel 1932). È vero che spesso le opere di Botero accendono il volto in un sorriso bonario, perché sono rotondità comiche, caricature morbide e scherzi di un artista che (dopo il bagno di umiltà con lo studio degli antichi maestri) si è “burlato” di questi precedenti illustri, da Leonardo (sopra la Monna Lisa) a Piero della Francesca, da Velasquez a Giotto e Raffaello. Però a un occhio più attento forse non sfugge l’impassibilità dei volti ritratti, la seriosità delle espressioni. Grazie alla continua reiterazione delle immagini poi (che costituisce il suo tratto distintivo) viene a perdersi quel senso di ilarità che era scattato al primo sguardo e le figure grassocce assumono un altro significato.
Il pennello di Botero non esprime infatti mai un giudizio su cose o persone. Ogni cosa (come la Natura morta del 1970), persona (come l’uomo politico o il prete del Seminario, 2004) o scena (Il bagno, 1989) è trattata allo stesso modo. Si supera l’uso di una gerarchia, ed ogni cosa è avvolta in una carica di sensualità pronta a sprigionarsi. «Il problema – sostiene l’artista – è determinare la fonte del piacere quando si guarda un dipinto. Per me il piacere viene dall’esaltazione della vita, che la sensualità delle forme esprime». Questa pienezza delle forme è adoperata sia in pittura che nelle opere scultoree. Botero in quanto “erede illegittimo” di Aristide Maillol (e della statuaria etrusca), predilige il bronzo perché meglio conserva la plasticità della materia e delle forme naturali. Ecco allora perché è il Cavallo a introdurre alla mostra: l’opera del 1999, è un gesto rotondo che non rende l’animale meno indomito e selvaggio di com’è in natura.
Fernando Botero, Il nunzio 2004 Olio su tela 203×160 cm
L’armonia dei rapporti di tensione volumetrico è un’altra prerogativa di Botero, insieme al circo come soggetto prediletto (già in Chagall, Picasso). Equilibristi, pierrot, trapezisti, clown sono personaggi che aumentano lo stupore grazie alle loro pose ed abilità esecutive. Anche il nudo è un leit motiv, ma non quello scontato, volgare o tradizionale, e così è del tutto originale, quasi tenero. Insomma l’opera di Botero è interamente da rivalutare? Il concetto di forma e volume di nuovo da considerare, soprattutto a partire dalla necessità dell’artista di mettere in campo una nuova mitologia, una “contro-mitologia” in cui non regna il caos. È lui stesso a sottolinearlo: «Non voglio dipinti inquietanti. Per me un dipinto è pronto quando regna la calma» (e il sorriso).
Anna de Fazio Siciliano