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Cosa c’è dietro una collezione?

di - 16 Maggio 2016
Quali storie ci sono dietro le grandi mostre? Di certo quelle di collezioni, collezionisti, donazioni e acquisizioni, ma anche di incontri e affinità elettive, di ricercatori appassionati e archivi da riscoprire. Abbiamo seguito la giornata di apertura di Focus Collezioni del Mart di Rovereto, progetto di approfondimenti tematici e monografici sul patrimonio del museo che inaugura con tre diversi focus: il primo dedicato a Mario Raciti, il secondo a Mimmo Jodice e il terzo alla mostra “Materiale immateriale” realizzata nell’ambito del progetto “VVV Verbo Visuale Virtuale”, realizzato dal Mart insieme con il Museion di Bolzano e la Fondazione Kessler di Trento.
VVV è un progetto pluriennale che ha ridato vita e visibilità all’affascinante Archivio di Nuova Scrittura (ANS) di Paolo Della Grazia, affidato quasi vent’anni fa ai due musei.
Iniziata insieme con Ugo Carrega, artista e teorico della Nuova Scrittura, già dal 1988 Della Grazia ufficializza la sua collezione consacrata alle ricerche verbo visuali, fatta di documenti, libri e opere esclusivamente dedicate alla parola e al segno, ma dalla natura fragile e dalla difficile classificazione. All’Archivio di Nuova Scrittura si aggiunge poi il fondo Fraccaro-Carrega, che vede oggi affidati al Mart circa 10mila volumi, tra i quali oltre 600 libri d’artista, centinaia di riviste e di prime edizioni futuriste. Che quello di Rovereto sia, oltre a un museo, un importante centro di ricerca, lo abbiamo già raccontato proprio qui su Exibart.  Con la mostra “Materiale Immateriale” oggi parte di questo patrimonio trova spazio nelle sale espositive, in una selezione di trenta opere di Adriano Spatola, Ketty la Rocca, Amelia Etlinger, Maria Lai, Luciano Caruso, Stéphane Mallarmé e molti altri artisti dell’archivio.
Ma, come anticipa il titolo, la mostra presenta al pubblico anche la sua parte immateriale, costituita dall’archivio digitale verbovisualevirtuale.org, risultato finale del progetto che ha permesso di mettere online l’intero Archivio di Nuova Scrittura. Una piattaforma accessibile a tutti e in grado di informare e ricostruire relazioni e collegamenti tra le opere, i carteggi e gli artisti attraverso un sistema di mappe interattive.
Ecco poi le due monografiche d’artista: Raciti e Jodice. Entrambi classe ’34, entrambi invitati al museo ad accompagnare i lavori con riflessioni e racconti. E proprio Mario Raciti segna involontariamente il tema dell’intera giornata quando ammette: «In un’epoca di grandi superfici, la profondità è importante». Daniela Ferrari, curatrice del catalogo monografico, affianca l’artista in una conversazione che è un focus nel focus, e tra riflessioni estetiche e filosofica ironia, Raciti racconta il suo modo di vedere il collezionismo, la pittura, il museo. Pittore dalla carriera felicemente solitaria, forse il più poetico della sua generazione, forse, a detta sua, un pazzo alla ricerca di una verità introvabile. È senza dubbio vero che Raciti appartiene a quella categoria di pittori ricercatori accaniti della profondità oltre la superficie. Nelle quaranta opere oggi in mostra, che vanno dal 1958 al 2016, la sua tavolozza rimane leggera ed eterea, la struttura cambia, ma la sua indagine è ancora la stessa : «Cerco qualcosa che nello spazio della tela non c’è – racconta l’artista – ma spero che ne rientrino gli echi, perché gli echi sono importanti». La sua carriera pittorica è stata raccolta grazie alla preziosa congiuntura di tre diverse collezioni: le storiche Volker W. Feierabend e Domenico Talamoni e la cospicua recente donazione di Carlo Damiano, “amico e poeta” dell’artista, la cui la cui vocazione di collezionista, ammette Raciti, si dimostra nella generosità di donare le opere come necessario modo per rendergli omaggio.

Infine, l’intervento di Mimmo Jodice, insieme ai collezionisti Anna Rosa e Giovanni Cotroneo, alla moglie Angela, al direttore Gianfranco Maraniello e ad Andrea Viliani, è un viaggio nel tempo. Un racconto alla scoperta di Mediterraneo, ormai celebre percorso fotografico di visioni archeologiche che vanno dalla sua Napoli, a Capri e Pompei, fino alla Turchia, Francia, Grecia. La fotografia è uno strumento, e come ogni strumento si trasforma in arte se usata da una persona sensibile. Come racconta Mimmo Jodice: «In cinquant’anni non ho mai fotografato perché mi trovavo davanti ad una bella scena…tutta la mia opera parte da riflessioni, turbamenti personali che decido di rendere immagini».
Jodice lavora in camera oscura come un’artista, manipolando le immagini personalmente fino a trovare il modo di rendere il soggetto un concetto astratto e la fotografia lo specchio di una suggestione e non della realtà. La mostra raccoglie oggi l’intera serie degli anni ’90, figlia di un prezioso incontro tra l’artista e i suoi storici collezionisti Anna Rosa e Giovanni Cotroneo. È grazie all’amicizia con Mimmo Jodice, infatti, che i due coniugi iniziano a collezionare fotografia, scegliendo sempre di sostenere interi progetti e non singole opere. Una generosità pionieristica, come la definisce Andrea Viliani, direttore del museo Madre che presto presenterà un’ampia personale di Jodice.

Roberta Palma

Nata ad Aversa nel 1988 si è specializzata in arte contemporanea all’Università La Sapienza di Roma. Ha collaborato con diverse realtà di Roma e Milano, dalle gallerie al no-profit. Dal 2013 al 2015 fa parte del collettivo internazionale 7x8curators. Attualmente parte di un progetto di ricerca didattica presso il Mart di Rovereto, collabora con Exibart dal 2014.

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