Mantova è un piccolo gioiello urbano della pianura del Po, carico di storia: una suggestiva cornice per un evento che, già a priori, ha molti punti di forza. L’oggetto è infatti la giovane arte italiana, promossa grazie ad un felice sodalizio tra ente pubblico e galleria privata (e questo è solo uno degli esempi felici di questo incontro). “Out of order”, fuori ordine, è il filo conduttore che è stato riconosciuto come aspetto comune agli artisti in mostra dalle due curatrici Luisa Perlo e Francesca Comisso. Il denominatore comune agli artisti presenti è l’analisi della realtà quotidiana (oggetti, spazi, affetti) e si conclude con il suo stravolgimento e la sua messa in discussione.
Il percorso espositivo prende le mosse dall’installazione del Gruppo Eya, che consta di una enorme coppa rovesciata e avvolta da fasce di tela candida, sul fondo della quale è proiettata l’immagine di un braccio nell’atto di rimestare del latte; la scena è contrappuntata, anche cromaticamente, da una grande mammella stilizzata, di velluto vermiglio, appesa ad una parete vicina. Il gruppo Eya, al secolo Magda Selis (1974) e Alessandro Vallainc
Marco De Luca (1964) propone un oggetto d’arredamento trasformabile; egli si pone come punto di partenza la scala, come elemento architettonico funzionale ed insieme luogo di gioco nell’infanzia (nell’accezione out of order). Sui gradini della sua scala di legno Marco applica i numeri che i passi debbono seguire per il gioco; ma la stessa scala “macchina per il gioco” è possibile trasformare in una accogliente tenda a emiciclo con una soglia antistante, spazio da occupare per nuovi giochi (dal fascino della casa sull’albero o della tenda in giardino).
Nella saletta successiva si viene accolti dalle cascate immacolate di Elisabetta Di Maggio (1964); si srotolano infatti le tele del suo “corredo” interamente realizzato con la carta. Ricchissimo il ricamo floreale sui singoli pezzi, che ripropongono un’antica liturgia domestica; il lavoro paziente, lungo e meticoloso risulta però finalizzato al semplice godimento estetico. Non è dato infatti di toccare quel delicatissimo lavoro, già destinato naturalmente a distruggersi velocemente, come i giardini orientali di sabbie colorate.
Claudia Losi (1971) nel 1998 ha incontrato le donne di un campo profughi di Belgrado, nel 1998; è ritornata con l’immagine di un popolo che sta segregato e imprigionato come le carpe di un acquario al mercato. La sua installazione presenta una grande foto di quell’immagine metaforica dell’acquario, sullo sfondo di un mucchio di strani cuscini ammonticchiati, cuciti con le coperte militari in forma di pesci stilizzati.
Torna il design d’arredamento nell’opera di Maurizio Borzì (1970), con l’invenzione di una panca che, nell’ambiente domestico, diviene “Isola” per l’uomo alla ricerca di un recupero del proprio equilibrio psicofisico sbalestrato dalla realtà quotidiana. Le opere di Borzì giacciono sempre in bilico tra forma e funzione, oggetti che significano solo nel momento in cui sono attivati dalla presenza dell’uomo e che, dunque, con esso interagiscono. Proprio per questo l’”Isola” di Maurizio è accompagnata dall’illustrazione fotografica del suo utilizzo (diremmo “la macchina accesa”).
Da ultima, solo in ordine di percorso, sta l’installazione di Sabrina Torelli (1966): su una bianca panca assolutamente anonima sono stese t-shirt che vestono termofori accesi. Gli indumenti sono stati fatti indossare dai familiari dell’artista durante la notte e sono stati dunque “caricati” del calore e degli odori delle persone care. Il calore emanato dalle t-shirt grazie ai termofori suggerisce allo spettatore una riflessione sui fenomeni micropercettivi che sottendono ai rapporti di affinità umana.
Per concludere una mostra che val la pena di essere vista: interessanti le opere e gli artisti, ancor di più il progetto e l’iniziativa. La galleria Massimo Carasi si muove con intelligenza nel difficile panorama della giovane arte italiana tenendo i piedi per terra. Chapeau (!) alla Provincia di Mantova ed al suo Assessore alla Cultura Marzio Uberti: peccato che la mostra duri solo 20 giorni.
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Finalmente una mostra dedicata ai giovani e una galleria che rischia sui giovani. Ci andrò sicuramente. Dato che sono molti quelli che lamentano la mancanza di simili iniziative spero ci incontreremo tutti qui a commentare queste opere, a meno che non si predichi bene e si razzoli male.
Seguo da un po' di tempo la scena Mantovana. Non è la prima volta che il connubio Provincia-Galleria Carasi propone cose interessanti. Ricordo la serata dedicata ad una performance dell'artista sarda Greta Frau (molto curiosa anche perché, poco tempo dopo, la galleria Carasi ha presentato una performance della stessa artista ad Artissima di Torino). Anche in quell'occasione il pubblico è stato numeroso. Insomma le intenzioni sono buone, anche se mi piacerebbe trovare qua sotto i commenti di quanti, negli ultimi mesi, hanno scritto che in Italia non si fa nulla per l'arte giovane, quanti hanno accusato le gallerie di percorrere le comode strade degli artisti di fama, di quanti, infine, hanno detto che gli artisti italiani possono avere successo solo all'estero. Stando che queste considerazioni sono in larga parte condivisibili, credo che, proprio per questo, varrebbe la pena di cogliere queste rare occasioni di dibattito concreto.
Speriamo bene Coello, speriamo bene!!!!
Ho visto la mostra. Bellissime le installazioni di Gruppo Eya, la Losi e la Marras, gente che sa pensare e suggestionare. Divertenti e curiose le altre opere, anche se ho una predilezione per le cose "belle" e le prime lo sono. E' incoraggiante vedere che l'arte giovane italiana ha finalmente un suo spazio nelle città considerate fuori dal grande circuito culturale. Un dubbio: ma la gente ci va? O è solo un episodio destinato a fallire?