Giuseppe Bellucci (Perugia, 1844-1921) rappresenta una singolare ed emblematica figura di naturalista e antropologo, esponente della borghesia laica e liberal-massonica che guidò anche in Umbria la lotta risorgimentale e la prima fase della costruzione dello Stato unitario. Più volte rettore dell’università perugina, paletnologo e demologo, protagonista di primo piano dell’impetuoso sviluppo delle scienze umane nella grande stagione del positivismo.
I suoi interessi empirici e teorici lo portarono ad avvicinarsi al mondo magico-religioso: “Agli inizi si trattò di una semplice diramazione tematica dei suoi studi paletnologici, nata nel corso delle numerose escursioni che egli andava compiendo per la raccolta delle cuspidi di freccia e degli altri strumenti paleo e neolitici affioranti con una certa frequenza, specie dopo l’aratura, nei campi lavorati dai contadini: punto di partenza fu l’osservazione che i contadini umbri reputavano questi reperti litici “punte di fulmini” caduti a terra, poi risalite alla superficie e dotate di straordinari poteri difensivi contro le folgorazioni e altri mali, talché li usavano, spesso racchiusi in sacchetti di stoffa o di pelle o incastonati in argento, come potenti amuleti. In seguito, nuovi collegamenti tematici e più ampie ipotesi di lavoro contribuirono a sostenere il raccordo fra l’attenzione per gli amuleti e le più impegnative attività rivolte dal Bellucci agli studi pre e protostorici, fornendo all’insieme delle sue indagini un comune orizzonte interpretativo: costituito, in sostanza, dalla concezione positivistica di uno stadio arcaico della evoluzione culturale umana, animistico-feticista, via via superato dalla civiltà europea ma rintracciabile nei documenti del suo più antico passato e ancora oggi presso i popoli rimasti “primitivi” e nelle persistenze “superstiziose” delle nostre stesse fasce folcloriche. Gli amuleti furono in certo senso per il Bellucci il banco di prova di questa ipotesi, il terreno ideale di un suo possibile riscontro empirico, che perseguì appunto attraverso una paziente ricerca comparativa sui materiali raccolti dai tre versanti delle antichità europee, delle culture “primitive” e delle fasce folcloriche.
Più tardi Bellucci prese a esplorare ciò che negli amuleti italiani del suo tempo sembrava esprimere un raccordo fra il primitivo pensiero feticistico e la successiva influenza del cristianesimo. Egli documentò così una vasta gamma di “forme di adattamento” costituite da amuleti la cui tipologia pre-cristiana è stata in vario modo integrata, sotto l’influsso della Chiesa, con specifici riferimenti a simboli o figure espunte dal repertorio religioso cristiano; e accanto a queste forme, che diremmo oggi più propriamente sincretistiche, un’altra gamma, di “amuleti cristiani” – agnus dei in cera, medaglie di santi, polveri delle mura di particolari santuari…-, nei quali la cristianizzazione formale appare ormai completa malgrado possa tuttora riscontrarsi, seppur sottoposto a non secondarie rettifiche, il sottostante fondamento psico-culturale feticistico.
Ultimo tema della sua ricerca sugli amuleti, durante la prima guerra mondiale, fu quello dell’incremento della “superstizione” e delle forme magico-religiose di difesa fra i militari esposti alle terribili condizioni di snervante attesa e di continuo rischio nelle trincee e nelle battaglie ravvicinate di una guerra che rappresentava, rispetto ad ogni passata esperienza, un tragico salto qualitativo di tutti gli strumenti di morte”. (prof. G. Baronti)
In mostra non sono esposti solo i pezzi della collezione Bellucci, ma, per fornire un quadro più ampio di riferimento, sono stati presi in considerazione anche gli amuleti italiani presenti nelle maggiori collezioni nazionali ed estere corredati da tutte le informazioni reperibili nella letteratura demologica specialistica.
La mostra diviene così un ottimo strumento didattico per avvicinare le nuove generazioni alla conoscenza del mondo popolare tradizionale.
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