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Dicembre 2000-Dicembre 2001 | un anno di performance nella Capitale

di - 14 Febbraio 2002

Nel corso degli anni la performance si è resa depositaria di contenuti sociali, politici, intellettuali ed artistici.
La performance è stata una forma di pensiero, un modo diverso di concepire l’arte e di trasformarla, da semplice oggetto contemplativo, in avvenimento unico ed irripetibile: un tacito scambio tra l’artista ed il suo pubblico.
Nei decenni passati Roma non si è distinta nel promuovere questa forma d’arte, troppo sprezzante – direi – e troppo poco commerciale per i salotti delle gallerie private nostrane. Nell’ultimo anno però, qualcosa si è mosso. Eh si, perché, per chi non se ne fosse accorto, il 2001 è stato per la Capitale un anno denso di iniziative e stimoli: hanno dato il “la” i Vedovamazzei, la sera del 15 dicembre del 2000, nella spettacolare kermesse dell’inaugurazione del Centro Nazionale per le Arti Contemporanee. Tra gli sguardi divertiti e curiosi dei visitatori, una giovane donna in calzamaglia si arrampicava agilmente per la minuscola scaletta di ferro che portava in cima al lampadario pseudo vittoriano, all’interno del quale era stata sistemata la preziosa pelliccia di volpe argentata di Fendi.
Niente di meglio che la metafora del desiderio fortemente voluto, perseguito ed infine premiato per inaugurare la ricca stagione romana, all’insegna dell’arte internazionale.
E non era che l’inizio: la primavera capitolina ha visto mettersi in moto l’interessante progetto delle Folie di Villa Medici, curato da Chiara Parisi. Dal 9 aprile infatti, nello splendido giardino dell’Accademia di Francia ben sei artisti dell’ultima generazione si sono avvicendati per quattro mesi (l’ultimo appuntamento si è avuto il 9 luglio con Marco Boggio Sella) interagendo con la serra in vetro e acciaio ideata dal gruppo A 12 e realizzando performance di alto livello. Per quattro mesi dunque, nello spazio di una sola serata, artisti come Daniele Puppi, Domenico Mangano, Simone Berti ed Elisabetta Benassi (tanto per citarne alcuni) hanno interagito con il pubblico presentando video ed azioni.
Di altro genere, più storico ma sicuramente non meno interessante, la serie di performance presentate a corollario di una delle mostre più importanti della passata stagione espositiva: Le tribù dell’Arte, curata da Achille Bonito Oliva. La Galleria Comunale d’Arte Moderna le sere del 24 aprile e del 5 luglio, è divenuta teatro di luci, suoni e colori, popolata dagli interventi di Ben Vautier, Oleg Kulik, Hermann Nitsch, rivelandosi una straordinaria occasione per osservare -dal vivo finalmente e non dalle pagine delle riviste specializzate- l’opera di artisti di fama internazionale. Di grande interesse sono state anche le iniziative della Fondazione Olivetti, che nell’autunno scorso ha visto Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini intenti a scrivere, pennarello alla mano, numerose frasi nella grande vetrina di via Zanardelli, alle prese con una divertente performance sul dialogo e la comunicabilità all’interno del rapporto di coppia.
A coronamento di un anno vissuto all’insegna della necessità e dell’impegno di rendere nuovamente la città un cuore pulsante ed un polo d’attrazione per l’arte contemporanea a livello internazionale, si colloca la manifestazione promossa da Ludovico Pratesi e dallo staff dell’Associazione Culturale Futuro.
Il critico romano aveva già dato prova di se durante l’inaugurazione della mostra Gravità Zero, Arte Tecnologia e nuovi spazi dell’identità (Palazzo delle Esposizioni, 27 giugno). In quell’occasione Pratesi si rese protagonista della performance Be my Guest dell’artista Tanja Ostojic in cui, vestito solo di un paio di boxer, s’immerse assieme alla splendida Tanja in una vasca da bagno colma di sontuosa schiuma.
Il 27 dicembre, a conclusione e chiusura di un anno di importanti proposte dunque, Futuro ha presentato la Festa dell’Arte, 24 ore consecutive di performance per dimostrare lo stato di “resistenza dell’arte” e la vitalità dell’immaginazione artistica. La cornice ottocentesca dell’Acquario Romano e la futuribile Capsula Tellus della Stazione Termini hanno fatto da suggestivo scenario alle performance di tredici giovani artisti provenienti da ogni parte d’Europa. Tra gli artisti scelti dai tre curatori dell’evento – Valentina Bruschi, Emanuela Nobile Mino e Bartolomeo Pietromarchi – l’inglese Petroc Sesti, Melati Suryodarmo e Viola Yesiltac (queste ultime allieve di Marina Abramovich) e per finire Elisabetta Benassi, Lara Favaretto e Norma Jeane.
All’una passata di notte, lasciati gli spazi dell’Esquilino, Roma ha potuto dormire sonni tranquilli.
Dal quadro finora delineato, appare chiaro che nella Capitale non esistono luoghi realmente deputati all’arte contemporanea. Tutte le manifestazioni descritte hanno trovato spazio in diverse sedi e sotto diverse forme, presso istituzioni museali e fondazioni private o affidate all’iniziativa di singoli curatori. Ne esce fuori uno scenario interessante ma disarticolato, le cui sinergie sembrano essere state lasciate al caso più che ad una effettiva programmazione.
A conti fatti, si avverte il bisogno di un’organizzazione, di una struttura fisica (un vero Centro per l’arte contemporanea – Nazionale o non – una Kunsthalle, uno staff, una figura di ruolo) che convogli tutte queste forze e dia loro un’ossatura ed una caratterizzazione ben definita. Non credo bisogni attendere l’iniziativa – seppure auspicabile- del nostro macchinoso settore pubblico. Penso piuttosto che si abbia bisogno di una struttura più snella e libera dai condizionamenti delle logiche di potere. Una struttura in cui pubblico e privato interagiscano attraverso un’attenta politica di promozione e sostegno delle ricerche artistiche.
Da questa prima analisi si ha la consapevolezza certa, palpabile di una cessata inattività (le cose si stanno movendo, lentamente è vero, ma si stanno movendo) e scaturisce sicuramente una riflessione: il dado è stato tratto. Quello che resta, adesso, è giocare la partita.

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Paola Capata

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