Castello Colonna di Gennazzano, interno giorno di un luminoso sabato di metà giugno, fasti nobiliari, potenza architettonica e soffitti altissimi, un susseguirsi di saloni per accogliere un distillato formale di estremo equilibrio concettuale e pittorico. Un silenzio irreale che da fisico diventa interiore per immergere prima la retina e poi la mente in quegli spazi pittorici rarefatti ma assoluti, che diventano finestre in cui immaginare un altrove infinito.
“L’inedito di Mozart e altri appunti sulla rivoluzione” è il titolo di questo percorso studiato dall’artista come una partitura musicale, con le pause, gli adagi e i “fortissimo” necessari per scrivere una sinfonia.
Un grande monocromo verticale grigio riempie il muro della prima sala, è la rappresentazione di uno stato d’animo, ma anche di un paesaggio nebbioso o forse di un cielo invernale. E questo è il seducente biglietto da visita per cominciare un percorso che si srotola davanti ai nostri occhi con la consequenzialità logica e la sorpresa improvvisa di un lucido sogno che vorremmo continuare a sognare.
Ancora con la mente piena di quelle sapienti sfumature pittoriche che da sole rappresentano già una sinfonia compiuta, si entra nella grande sala centrale del piano nobile dove troneggia l’installazione che dà il nome alla mostra, un pianoforte a coda, spartiti musicali e un video in cui si muove sinuosa la visualizzazione della musica. Ogni sala è una sorpresa, è un viaggio dentro la pittura, anzi per dirla in “critichese” è un viaggio nel “concept” della pittura, che afferma se stessa senza bisogno di turbare. Una pittura che non urla la sua presenza perchè è talmente potente nella sua rappresentazione e nella sua immota assolutezza che puo anche permettersi il lusso del silenzio. Avvolgente, denso e necessario per entrare in ogni quadro con la mente sgombra e i sensi accesi come quando si vuole superare una soglia, la soglia è la pura percenzione sensoriale e l’al di là è l’opera che talvolta può farci andare oltre di questa dimensione dominata dallo spazio-tempo.
Alessandro ci presenta l’assenza dello spazio e del tempo aprendoci la porta della sua visione, spazi di piccole e medie dimensioni, che non sono più tele o quadri, ma schermi in cui l’artista proietta con la tecnica pittorica delle velature di colore uno spazio che diventa un mondo o forse un sogno.
Leggo sulla Treccani la definizione di monocromo che qui fedelmente riporto:
monòcromo (o monocròmo) agg. e s. m. [dal gr. μονόχρωμος agg., comp. di μονο- «mono-» e χρῶμα «colore»]. –
1. agg.
a. Di un solo colore, o di una sola tonalità: pitture m., affresco monocromo.
b. Nell’arte contemporanea, pittura m., forma di espressione artistica diffusasi in Europa e negli Stati Uniti negli anni Sessanta del Novecento e consistente nella produzione ed esibizione di opere che si presentano di un unico colore: campiture dell’intera superficie della tela, oggetti ricoperti di colore, pitture tonali intonate all’ambiente in cui sono esposte, fogli metallici sulla cui superficie si osservano variazioni di luminosità, stesure di colore puro sulla tela alla ricerca di effetti di luce, ecc.
Definizione certamente corretta da un punto di vista scolastico ma del tutto insufficente per descrivere i densi e visionari monocromi di Alessandro Sarra che nelle campiture stratificate di colore creano un mondo così profondo e vario da necessitare di un lungo tempo di osservazione. Ci si perde dentro l’azzurro, o il bianco, o il verde acido o l’arancione per cogliere segni, presenze, pennellate sapienti che catturano e ipnotizzano.
La rivoluzione qui è silenziosa e potente, la rivoluzione è la bellezza della regina delle tecniche. Sola e nuda nella sua grandezza evocativa.
Paola Ugolini
Mostra visitata sabato 15 giugno 2013
fino al 23 giugno 2013
Alessandro Sarra – L’inedito Mozart e altri appunti per la rivoluzione
a cura di Claudio Libero Pisano
CIAC
Piazza San Nicola 4, Gennazzano
Info: info@ciacmuseum.com, www.ciacmuseum.com