Voyage Voyage di
Massimo Lovisco (Potenza, 1976) è apparentemente un inno al piacere del viaggio come scoperta dell’ignoto. Dietro l’apparenza giocosa, l’artista utilizza un
topos dell’arte come metodo d’indagine di comportamenti sociali e come mezzo di riflessione sui linguaggi dell’arte contemporanea.
Già nel titolo,
Io sono qui, la performance realizzata con
Carmen Laurino, pone l’accento sul tema della traccia, della fotografia come impronta di una presenza. Invitati a Santa Severina, un castello in Calabria, a realizzare un’opera che dialogasse con il luogo, gli artisti hanno assunto i panni della coppietta in gita, facendosi fotografare in pose vacanziere dagli altri artisti invitati all’evento; hanno poi stampato ed esposto le foto realizzate quel giorno stesso.
L’opera corale è un omaggio alle
esposizioni in tempo reale di
Franco Vaccari, ma ironizza anche sui riti del turismo di massa, che spesso rendono vacua e superficiale un’occasione conoscitiva come l’esplorazione di posti sconosciuti. Strizzano l’occhio a
Martin Parr le foto dei due artisti con occhialoni da sole, zaini stracolmi e pose rigide sullo sfondo di paesaggi mozzafiato.
Negli altri lavori esposti, come sottolinea il curatore Silvano Manganaro, a viaggiare sono le opere: l’attenzione si sposta allora sul mezzo postale. In
The drawer book, un’operazione di mail art, l’artista ha fotografato i cassetti di amici come fossero “ritratti” e ha spedito le foto a persone sconosciute in giro per il mondo, chiedendo loro di attribuire un aggettivo alle immagini. Le fotografie hanno un fascino ambiguo, la grafica pop è accattivante come una pubblicità, ma gli oggetti fotografati hanno qualcosa di intimo da raccontare, che contraddice l’apparenza
glamourous del primo sguardo. L’individuo con la sua storia sfugge all’immagine omologante del linguaggio di massa.
Una mostra prêt-à-porter è
Ubik, silenti paesaggi fotografati chissà dove e chissà quando, da spedire ovunque. L’artista sta inviando la mostra in posti periferici come baraccopoli in Uruguay o piccoli centri in Romania: l’arte non ha bisogno di grandi mezzi, ma solo d’idee. Operazione critica nei confronti di un sistema sempre più accentrato, che esclude le periferie dalla storia e dalla cultura.
“
La visione di una mostra è già un viaggio di per sé”, scrive Manganaro; “
una mostra legata al viaggio è, dunque, una sorta di mise en abyme”. All’inaugurazione, i visitatori di questo “viaggio nel viaggio” sono stati attori della performance
Greetings from, scrivendo cartoline dalla mostra a parenti e amici. E le opere, riprodotte in formato ridotto, continuano a viaggiare.
Duchamp docet.