Moriva cinquant’anni fa Alberto Martini (1876-1954), esponente di punta del simbolismo e del surrealismo in Italia. E proprio a lui Oderzo, sua città di nascita, dedica un’interessante retrospettiva (caratterizzata da un allestimento suggestivo) sull’opera di illustratore, dopo aver portato a termine un progetto finalizzato alla preparazione del mediatore museale, figura di raccordo tra enti espositivi e pubblico tutt’ora inesistente nel panorama italiano.
L’esposizione si apre con un ritratto della moglie Maria che, in occasione della grande retrospettiva del 1968, donò al museo cittadino il primo nucleo dei disegni conservati presso la Pinacoteca Civica. Ma è l’autoritratto a china di Martini (di cui è in mostra il disegno preparatorio a matita, rispetto al quale ci sono delle varianti) a catturare lo sguardo. L’artista si rappresenta come demiurgo in un’aurea di luce che ne sottolinea il magnetismo: dal suo petto sgorga la luce, mentre un daemon della creazione suona il violino sopra la pagina bianca di un libro. Tra le tende si scorge Venezia al chiaro di luna, ai piedi dell’artista una farfalla, simbolo di rinascita, che sarà ricorrente in tutta la sua produzione.
Poi, negli espositori adiacenti, i primi lavori di Martini, il cui talento viene già riconosciuto quando –non ancora ventenne– è chiamato ad illustrare il Morgante maggiore di Pulci e La secchia rapita di Tassoni. A fianco disegni preparatori a matita e a china e numerosi schizzi che già delineano lo stile personale e una passione per taluni dettagli già evidentemente simbolista. E ancora alcuni numeri di Emporium, rivista mensile d’illustrazione, con cui collaborerà a lungo e delle sue lettere.
Ma sarà l’incontro nel 1898 con Vittorio Pica (del quale è in mostra un ritratto eseguito nel ‘12), editore e direttore fino agli anni ’20 della Biennale di Venezia, e suo solerte mentore, ad essere centrale nella sua carriera. Infatti esporrà proprio nella città
Nel 1901 partecipa al concorso per l’edizione illustrata della Divina Commedia promosso dagli Alinari e lo vince assieme ad altri artisti come La Pella, Zardo. In mostra ci sono le splendide tavole dedicate a Caronte, Pier delle Vigne, Brunetto Latini, accomunate da uno spiccato intento narrativo, che progressivamente verrà abbandonato nell’edizione del ’22, interamente illustrata da Martini. Qui si apprezza un segno più aereo ed evanescente, come nell’illustrazione di Beatrice. Ma un ulteriore salto avviene nell’edizione del ’37, dove il segno si fa più grafico, sintetico, e la citazione dantesca non è più parte del disegno, ma semplice didascalia, come in Pepè Satan e nel Conte Ugolino.
A conclusione, dopo il plastico del Tetiteatro (costruzione ideata dallo stesso Martini come teatro nell’acqua e mai realizzata), Arlecchino, in cui la maschera che simboleggia il pittore, visitata dall’immaginazione incarnata da Psiche, si rianima, a vita nuova.
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