Erano fatte di bagnasciuga, moli, palizzate, bunker, arenili, fari, strutture esili rubate alla terra d’origine le “architetture della memoria” che Achille Bonito Oliva aveva rintracciato nella pittura ad olio di Pietro Capogrosso (Trani, 1967). Architetture ispirate, come l’artista affermava, da una “terra di frontiera, paesaggio di confine diviso da un orizzonte costante, una dimensione temporale sospesa senza tempo, una luce intensissima, accecante, luoghi percorsi dal sole fino allo stordimento. Il paesaggio si decolora, lentamente, divenendo quasi astratto. Tutto questo fa parte del mio lavoro, della mia infanzia, quindi la Puglia”.
Un’iconografia spogliata tuttavia -fin dall’esordio, nella mostra Complanare del 1999- del concreto riferimento al luogo e costruita secondo lunghi piani di fuga, con una veste pittorica dalla partitura modulata su eteree tonalità pastello, al limite della monocromia e della bidimensionalità. Una pittura carica di riferimenti colti: da Fattori a Morandi, fino ai maestri dell’astrazione De Stael e Rothko.
Ma sempre inconfondibile la sua firma, come nel paesaggio con molo, che scopriamo a fare da spartiacque tra tematiche nuovissime o rinnovate, nella sua seconda personale (a tre anni da quella nella Galleria Spazia di Bologna) allestita a Foggia.
Pochi metri quadri e due pareti candide sulle quali scorre una teoria di piccole tele con alberi; di fronte, gli scavati ritratti dei compianti Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975) ed Ettore Majorana (Catania, 1906 – 1938), due maestri di pensiero che hanno avuto un rapporto contorto ed alla fine tragico con la vita, nell’equilibrio instabile tra solitudine intima ed altalenante successo sociale.
Caporosso non aveva mai assunto il tema del ritratto -pur rivelando evidente sentire comune con la diafana pittura del belga Luc Tuymans–
Lo sguardo di Pasolini e Majorana –entrambi scomparsi in circostanze non certo ordinarie- è interpretato dal curatore come “sospeso sulla soglia”: è il tipico sguardo di due anime inquiete, nella vita intenso e penetrante, qui smorzato da una sorta di salsedine che riporta i due grandi maestri in una dimensione tutta mentale.
Ed è una qualità propria di Capogrosso quella di non cedere ad un facile lirismo, quanto invece mantenere nel ritratto, come nel paesaggio, un’asserzione concettuale chiara e coerente. Chiara come “la luce negli occhi”, spesso piacevolmente abbacinante, del bello se non è solo in quanto tale.
giusy caroppo
mostra visitata il 10 dicembre 2005
Il Museo Bagatti Valsecchi di Milano fa 30 anni ma la sua storia è molto più lunga: per celebrare il…
All’UCCA Center for Contemporary Art di Pechino la prima grande mostra di Luc Tuymans: 87 opere per ripercorrere la lunga…
Non si tratta dell'ennesima mostra sul rapporto uomo-ambiente: Mutual Aid offre una profonda visione multispecie e interspecie, con opere nate…
Aprirà a gennaio, a Milano, la nuova sede della Fondazione Maria Cristina Carlini, per custodire 50 anni di scultura e…
Tempo di grandi aste newyorkesi. Sguardo agli highlights della Modern & Contemporary Art Evening Sale, da Warhol a Pollock a…
Dopo le dimissioni di Martina Bagnoli, l’Accademia Carrara di Bergamo si riorganizza: Maria Luisa Pacelli, già alla Pinacoteca di Bologna,…
Visualizza commenti
Capograsso. Caporusso. Capirossi. Capogrossi. Carogrosso. Cupogrosso. Capogrezzo. Cazzogrosso. Eccetera eccetera.