C’è un mondo, nel chiuso della provincia profonda e al di fuori dai circuiti istituzionali dell’arte, fatto di carsica incandescenza creativa. Se, di fronte a tale ovvia considerazione, non si può pretendere di ovviare alla mancanza di visibilità di tanta arte rincorrendo di continuo occasioni locali, è bene però almeno testimoniare di quelle in cui capita di imbattersi, rimanendo spesso colpiti per la generosa genuinità che esprimono.
E’ il caso della mostra antologica che l’amministrazione provinciale di Cuneo ha dedicato a Giovanni Gagino, pittore impegnato a costruire, da oltre mezzo secolo e con ostinata serietà e indipendenza, un personalissimo mondo visivo, definito da colori che nel tempo hanno acquisito sempre maggiore impatto espressivo. Pochi e assai concentrati, i soggetti di questo artista, che non fa mistero delle sue ascendenze espressioniste -meditate però in modo particolare sulla lezione parigina di Chaim Soutine– e di alcuni personalissimi riferimenti (su tutti, l’immaginifico Ego Bianchi). Ecco allora i paesaggi scabri della Langhe, vedute disadorne di periferie cittadine e soprattutto interni di fabbrica: questi i poli assolutamente centrali di un immaginario essenziale, oltre che visibilmente sentito e partecipato a livello personale.
Sicura è l’unitarietà del tratto compositivo nei diversi soggetti, tutti costruiti attraverso campiture cromaticamente sature in cui predominano i toni dei blu e delle terre, queste ultime spesso accese di una singolare, rugginosa luminosità. Che si tratti di olii, smalti industriali o complesse tecniche miste, è propriamente dai colori che Gagino parte per costruire l’immagine, procedimento che gli consente di ottenere grande impatto visivo senza perdersi mai nelle ristrettezze di una figurazione troppo definita. Difficile, in effetti, non essere tentati dall’armonia astratta di composizioni combuste entro vapori cromatici intensi che, se nelle vedute delle colline piemontesi o di periferie urbane ancora si diradano per lasciar scorgere qualche particolare, negli scenari industriali (interni di fonderia, soprattutto, ma anche visioni dell’amato porto di Livorno) si concentrano in vampate incendiarie, raggiungendo esiti di notevole forza espressiva. Mai, in ogni caso, vi è traccia di cedimenti a una facile retorica della fatica del lavoro o della violenza della materia: quel che questa pittura trasmette è piuttosto un senso di partecipata e seria umanità, dove l’uomo –e lo stesso artista– rimane pudicamente al riparo dagli sguardi esterni, in appartata e meditata concentrazione.
luca arnaudo
mostra visitata il 19 marzo 2005
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Mi è capitato di visitare la mostra che qui si descrive e vorrei aggiungere che alcune delle opere sopra descritte, in particolar modo quelle in cui l'artista ci porta all'interno delle fonderie, rendono - visivamente - la sensazione tattile del calore. Un'emozione davvero straordinaria. Consigliata.