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23
giugno 2016
Fino al 10.IX.2016 Vincenzo Castella, Il corpo della città Studio la Città, Verona
altrecittà
Vincenzo Castella ha raggiunto Hema Upadhayay a Studio la Città: la galleria veronese ha avverato il desiderio dei due artisti, quello di realizzare una mostra insieme. Una promessa che si erano fatti in occasione del loro incontro nel 2011, ma che sembrava sfumata via con la morte prematura della giovane artista indiana. Castella ha voluto tener fede all’impegno e omaggiare l’amica con una mostra fianco a fianco. Così proprio accanto all’installazione Where the bees suck, there suck I per qualche settimana abbiamo potuto vedere Il corpo della città, installazione di sezioni fotografiche tratte dal video Inside Deisha Camp, Bethlehem, 2007. Due sguardi differenti eppure elettivamente affini sulle grandi città del mondo: un taglio antropologico quello di Castella, una prospettiva sociale quella di Hema, una conversazione silenziosa eppure ricca di stimoli veicolata dalle due installazioni a pochi passi l’una dall’altra. Il pullulare ipercromatico delle casette ammucchiate da Hema e minacciosamente attaccate dalla gigantesca benna, trova un perfetto contraltare negli scatti di Castella, tendenzialmente monocromatici, variamente dimensionati e distribuiti sulla parete con una precisa progettualità, per questo parliamo di installazione fotografica e non semplicemente di esposizione: l’allestimento si fa dispositivo e partecipa a tutti gli effetti alla costruzione dell’opera. Il corpo spoglio della Betlemme di Castella si riflette poi su uno schermo sospeso all’interno della stessa sala, attraverso la proiezione di brani tratti da un video in movimento. Sempre più sfuggente, sempre più immateriale. A completare la riflessione del fotografo sul tema della città, tre grandi scatti di grandi dimensioni presentati alla scorsa edizione della Biennale di Architettura di Venezia: un focus su Milano e sulla proliferazione edilizia.
Un terzo polo sul tema della città è stato Persepoli, di Gabriele Basilico, ospitato in Video Room fino al 18 giugno. Dal contemporaneo all’antico con un salto millenario che però passa sempre per l’obbiettivo della macchina fotografica. Di Basilico avevamo appena visto, sempre presso Studio la Città, Iran 1970. Basilico prima di Basilico: siamo ora alla fine di quello stesso viaggio, fatto in macchina, da un gruppo di amici, e durato quasi diecimila chilometri. Le fotografie realizzate a Persepoli raccontano lo stupore e la meraviglia, l’emozione e l’innamoramento: arrivati in città di notte i giovani si risvegliano l’indomani in uno dei più maestosi siti archeologici del pianeta. Enormi costruzioni che conservano intatte l’evolversi della storia, gigantesche pietre tagliate a mano che testimoniano l’audacia di un popolo antico come il mondo. Basilico ne indaga il mistero e la maestà, ma contemporaneamente il suo occhio clinico già coglie la struttura architettonica della città, la relazione fra le vestigia dei diversi edifici.
La quarta protagonista in galleria fino al 18 giugno è stata Esther Mathis, giovane artista austriaca alla sua prima personale. La Mathis nasce dalla fotografia ma approda a Studio la Città con una doppia installazione, inserendosi così perfettamente nel contesto espositivo che ha proposto due serie fotografiche, quelle di Castella e Basilico, e le installazioni di Hema e Mathis. I lavori proposti appartengono alla serie Isoleted System: episodi di una lunga e complessa riflessione su assiomi scientifici fondamentali (entropia e isotropia, rifrazione della luce, conduttività elettrica), sull’opposizione caos/regola, sulle relazioni uomo/natura. Con sottigliezza ed eleganza la Mathis crea microcosmi, mondi nei mondi: Isoleted System Vol.1, nella Drowing Room, era un vero e proprio ecosistema, in cui indagare il mistero della vita e riflettere sulla parabola mortale, vissuta però in modo del tutto naturale e logico, come interscambio, regolazione ed esaurimento di energia. Si trattava di sfruttare un classico degli esperimenti infantili, unendo delle patate a circuiti chiusi per far accendere un piccolo led, ma la Mathis ne collega circa 500 in gruppi di sette e dà vita, nel buio della stanza, a un cosmo di stelle puntiformi, a un giardino segreto in cui si crea la vita secondo la perpetua dinamica dell’entropia, che fa e disfa alla ricerca dell’equilibrio perfetto. “Nel corso di molte settimane, le patate perderanno la loro conduttività, provocando una diminuzione della sorgente luminosa, nonostante tale riduzione sarà così misurata da risultare quasi invisibile all’occhio umano. Le emissioni di luce diventeranno puro calore. Le patate diventeranno rifiuti. Diventeranno la miniatura in scala di un sistema isolato parallelo alla nostra diminuzione mortale” spiega Erik Morse, curatore statunitense. La seconda installazione, nella Video Room, è Isoleted System Vol.2, una serie di torri dall’altezza variabile tra i cinque centimetri e il metro, con cui la Mathis studia le relazioni e gli effetti della rifrazione della luce sul vetro, uno dei materiali prediletti dall’artista. Le torri si compongono di piccole lastre di vetro grezzo da lei stessa tagliate (e quindi volutamente irregolari, con imperfezioni che li rendono simili eppure mai uguali) e impilate inserendo tra l’una e l’altra un punto di colla: “senza la colla” specifica l’artista “il vetro rifletterebbe la luce di ogni lastra su quelle vicine, con la colla invece è possibile creare un effetto visivo del tutto particolare: si crea un’assenza, un vuoto potenziale che attraversa le torri in verticale come fosse un foro”. Un solido riflettente e un vuoto che in realtà è pieno: un gioco visivo e percettivo che realizza l’ossimorica unione tra esteriorità e sostanza. Il lavoro sui materiali tratti direttamente dalla natura e l’indagine sulle proprietà della fisica e dei fenomeni naturali – l’uso dell’energia tratta dalle patate, del vetro, della luce – non possono che rimandarci alle logiche poveriste della fine degli anni Sessanta, rilette però alla luce di tempi mutati e con un più spiccato interesse per le logiche di funzionamento del cosmo e per la processualità degli eventi della natura.
Dal cemento della Budapest di Castella alle casette di alluminio di Hema, passando per la pietra eterna della Persepoli di Basilico, fino all’energia del mondo con Esther Mathis: come sempre Studio la Città dimostra una particolare abilità nel condurre la regia delle proprie esposizioni, tessendo tele di legami invisibili per suggerire sottili relazioni tra artisti che solo apparentemente sembrerebbero lontani geograficamente, cronologicamente e sul fronte delle operatività, rivelando quanto semanticamente affini possano essere certe sensibilità artistiche.
Jessica Bianchera
mostre visitate il 21 maggio
Dal 21 maggio a settembre 2016
Vincenzo Castella – Il corpo della città
Studio la Città
Lungadige Galtarossa, 21
37133 Verona
Orari: da lunedì a venerdì, ore 9.00-13.00 e 15.00-19.00 (sabato solo su appuntamento)
Info: +39 045 597549 www.studiolacittà.it