Come nel migliore punk, in cui la durata del brano non supera i tre minuti, il tempo concesso per deglutire questo zapping atemporale di Christian Caliandro (Mottola, Taranto, 1979) è brevissimo, bruciante, cattivo. E lascia storditi. Le immagini video, assemblate con la tecnica del found footage, si ripetono inquietanti e girano intorno alla tensione percettiva tra mondo fittizio e reale. Fallen mette in mostra l’evento e in discussione l’osservatore, il suo atteggiamento nei confronti dei media e delle immagini che producono, dalla noia all’orrore, dal disagio allo smarrimento.
You’re Dead Meat è un breve loop in cui l’artista ha ricucito sequenze di Venerdì 13 Parte II e Scarface come scenario di agonia e morte. Il mostro di turno però, anziché uccidere, viene risucchiato dalla parete, scomparendo e lasciandoci a contemplare una successiva “pietà” borghese girata da Brian De Palma accanto ad un piano a coda, in cui il tempo rallentato condensa espressione e gesti dei personaggi, rimandando a certi momenti “pittorici” di Bill Viola. Ci si chiede che cosa sia successo, ma non c’è tempo, il video riparte, accelerato dalla nuova colonna sonora hardcore che martella rabbiosa, in loop di pochi secondi, come il jingle di un commercial o un videogame. Poi, ancora il mostruoso: Fallen, che dà il titolo alla mostra, tre foto formato cartolina di due corpi tumefatti, martoriati e quasi irriconoscibili, come dopo un’esplosione, un attentato. Quasi. A ben guardare ci si accorge che si tratta del cadavere di Mussolini e Claretta Petacci dopo l’impiccagione.
La non facile riconoscibilità è dovuta anche alla censura mediatica del dopoguerra, che ha relegato queste immagini “oscene” negli archivi per addetti ai lavori, da cui Caliandro è andato letteralmente a riesumarle.
Si prosegue con Kurdt, esoterica citazione dai primi Nirvana, un altro breve loop tra Batman Begins e Il Regno del Fuoco, che evoca una diversa caduta -il declino di un intero mondo- condensata in un ascensore che precipita tra fiamme e draghi, ripartendo però ogni volta dall’inizio, in una tragedia orrenda quanto infinita, che riecheggia il mito di Prometeo quanto il cinema di Tarantino. Infine, Sotto controllo conclude in tempo reale l’esposizione con una pagina rosa della Gazzetta dello Sport del giorno, gettata sotto vetro, con l’immagine di Maradona disteso in sala rianimazione, dopo l’ennesima “caduta” da alcool e droghe. Di nuovo l’immagine del corpo supino del goleador-mito, ritratto dai piedi, è usata con chiari rimandi al sacro, in questo caso il Cristo morto del Mantegna.
In Fallen, come in molta arte contemporanea, e nei sempre più veloci quanto superficiali media, viene ingannata la memoria visiva con immagini rimescolate -di repertorio- e messe sullo stesso piano.
Le foto e i frammenti dei film, così trasfigurati dall’artista, diventano specchio di cadute, individuali e collettive, di identità e di senso, tra tragico e grottesco. Dove la realtà vera dipende dalla prospettiva personale, e dove la finzione, per quanto violenta, risulta più eccitante e rassicurante. Meno nuda, fredda e senza appello della storia.
claudia loeffelholz
mostra visitata il 14 aprile 2007
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