Lia De Venere offre,
dal minimo e minimalista spazio barese, un gustoso sguardo su alcune appetibili
proposte del panorama emergente italiano, emulsionando gusto per il bello e
novità, divergendo da altre attive gallerie locali che privilegiano iniziative
finalizzate a promuovere giovane arte partorita dall’Accademia. Una mostra non
di certo “ricca”, ma la concisione è preferibile al sovraccarico.
Il tema della natura
aiuta: sulla scorta di una bio-arte, che diventa sempre più attraente perché
intrigante e provocatoria, la galleria espone Carla Mattii e Laura Viale, due
artiste che hanno scelto la natura quale immaginario creativo.
Laura Viale (Torino, 1967) propone
manipolazioni d’immagine – molto patinate – di elementi vegetali, confezionate
con astuti tagli d’inquadratura, che ne ostacolano il più possibile l’individuazione
dell’essere: sono piante, foglie, fiori, steli? Chissà.
colore magnetico, in tonalità di base più che mai “sature”: un aggettivo legato
espressamente all’uso perpetuato della “saturazione” ottenuta con il mezzo
digitale. Sostanziale è quell’effetto de “il tutto per la parte” o “la parte
per il tutto”, che rende le succose stampe della torinese il frutto di una
visionaria indagine al microscopio, che mira a sradicare l’oggetto naturale e
pulsante dal proprio contesto originario.
Quella di Carla
Mattii (Fermo,
Ascoli Piceno, 1971; vive a Vicenza e Milano) è tutta un’altra storia. Qui a venire
analizzato è un essere floreale che, più che mutante, è “mutato”. È lei che –
forse prima in Italia – ha iniziato a inventare ibride e anemiche creature
floreali, sintetiche e lattee, ancor più stranianti perché “smontate” come un
giochino infantile. Ora si riappropria della forma e del colore, della ricomposizione
dell’elemento vegetale nella sua interezza, per fotografarlo come un’icona.
Espone grandi stampe
su alluminio in cui campeggiano – memento vitae – anomali bulbi
dotati di carnose foglie tipiche delle piante grasse, con pennacchi, pistilli,
radici, fili d’erba, il tutto ricucito in un unicum che rende questi ibridi
sensuali oggetti del desiderio.
Il soggetto non può
non richiamare altri percorsi assonanti, da Marc Queen – dove natura e
antinatura si sovrappongono in giardini costruiti sul senso del tempo che
sfugge, nel tentativo di fermarlo in un eterno presente – sino alle recenti
serre policrome e onnivore di Nathalie Djurberg o agli storici tableaux
vivants di Piero Gilardi.
Ma Carla Mattii non
vuole violentare né essere violentata dalla natura, di cui esalta innanzitutto
grazia e fragilità. Ne vuole piuttosto modificare la geometria interna per
ricostruire un mondo vegetale inedito e soprattutto delicato e precario:
fermandolo con uno scatto si salva in corner perché, come diceva un famoso
spot, una foto è per sempre; una soluzione, questa di fotografare l’effimero,
che è stata cavallo vincente di diverse generazioni di artisti, non ultimo Giuseppe
Gabellone.
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