Michele Giangrande (Bari, 1979) era segnalato quale giovane promessa già da studente d’Accademia. Il GAP, premio dedicato ai pugliesi emergenti, lo aveva posto all’attenzione della critica locale fin dalla prima edizione, mentre su queste pagine veniva assimilato a Chris Gilmour, sottolineandone la mancanza di originalità. Ora, nella corposa personale da Paolo Erbetta, intitolata Skin, quelle analogie vengono sottoscritte dal curatore Ivan Quaroni quale valore aggiunto, mentre la sua opera viene accostata anche ad altri esponenti di una “tendenza”, uno “stile” (oltre a Gilmour, Paolo Grassino, Gino Sabatini Odoardi, Maurizio Savini): usare una texture per ricoprire oggetti della quotidianità o realizzarne di rivisitati con materiali insoliti, che ne possano identificare l’artefice (cartone, pvc schiumato, polistirene, chewingum). Una firma riconoscibile anche quella di Giangrande perciò, se associata al pattern. Peraltro l’artista ha mantenuto nel corso di questi ultimi anni un trend qualitativo alto, sia dal punto di vista progettuale –ne è un esempio la recente installazione ambientale all’aeroporto di Bari-Palese che gli è valsa il premio GAP 2007, Un uovo mondo– sia per ciò che concerne il prodotto artistico in sè: il suo pregio maggiore, rilevabile nelle venticinque opere esposte.
Il senso di horror vacui che pare sedurre Giangrande, lo porta a rivestire in modo maniacale e senza alcuna sbavatura, con una griglia di cerotti (in dimensione e materiale standard) oggetti prevalentemente legati al modo dell’infanzia: cavalli
Una forzatura interpretativa che tende a sopraffare l’aspetto ludico in Giangrande, quello più prorompente -come per un altro pugliese, Francesco Arena– e contiguo ad un veterano tra gli scultori conterranei, Giovanni Albanese. Il disimpegno nell’arte non dovrebbe essere considerato una défaillance, anzi. Tutta una nuova estetica, fin dagli anni ’80, pone il divertissement al centro della creazione artistica. E lo sa bene il giovane barese quando in Legami e Degni di nota crea anomali oggetti ricoperti da pazienti intrecci di elastici colorati e strumenti musicali rivestiti di punteruoli in silicone o di erba sintetica. O quando, provocatorio, “traveste” un’intera armeria -pugnale, pistola e fucile Winchester- o la classica bottiglietta di CocaCola, cui dare un’interpretazione “elastica” appunto. L’intento è surreale se l’abito di vere piume stravolge una valigia o un antico grammofono.
Un gioco leggero tra significante e significato, quindi, che fa da guida tra le sale della nuova sede della galleria, chiudendosi con un lavoro site specific, Le Torri di Babele, eseguito con materiale organico: 22650 coni da gelato, rigorosamente in cialda. La struttura elicoidale -frutto di un calcolo vettoriale 3D- è ispirata al minareto di al-Malwiyya della moschea di Samara, simile a quello dipinto da Peter Brueghel nelle sue composizioni visionarie.
Un inno alla hybris punita, di biblica memoria; rappresentarle in coppia è un evidente riferimento alle Twin Towers, fragili come friabile è il materiale commestibile con cui sono realizzate. Un intervento che dimostra come Giangrande non cerchi solo facile successo commerciale -garantito, per le discrete dimensioni e l’immediata fruibilità estetica delle sue sculture- ma si spinga anche a formulare messaggi subliminali, sebbene politically correct.
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"Il disimpegno nell’arte non dovrebbe essere considerato una défaillance, anzi. Tutta una nuova estetica, fin dagli anni ’80, pone il divertissement al centro della creazione artistica."
Con questa affermazione si rischia di rendere la creazione artistica una trovata, come questa di Giangrande,che ovviamente se la si protrae troppo allungo sicuramente annoia.
L'arte è un spazio dove germinano le idee, non un luogo dove si applicano le idee....
Tra l'altro come può associare Giangrande ad Arena, quest'ultimo ha un'altro modo di lavorare più profondo, da ricondurre al maestro Gabellone semmai!
TROVO NOIOSA QUANTO POCO FANTASIOSA LA PROPOSTA D'ARTE DI QUESTO GIOVANE ARTISTA , CHE CREDO ABBIA IL DESTINO DI RIMANERE SCONOSCIUTO, IL CHE SI SPERA IN PRIMIS PER IL BENE DELLA STORIA EMINENTISSIMA E CONTEMPORANEA DELL'ARTE. ANZITUTTO PROPUGNA UNA SOLFA TRITA E RITRITA DI COMMENSURABILI E LEZIOSE DIMENSIONI, CHE SCIMMIOTTANO LA GRANDE OPERA DI "VERI" ARTISTI QUALI DUCHAMP, MAN RAY, CAGE, MANZONI, BURRI, ROTELLA ETC! INOLTRE TROVO TERRIBILE E BLASFEMO... IL PLAGIO AL NOTO ARTISTA BARESE FRANCO DELL'ERBA COI SUOI CONI DI LEGNO DISPOSTI COME VERTICE CELESTE, OSCENO... CHE SI COPI ANCHE I MAESTRI TANTO VICINI, CONTERRANEI MI SEMBRA, SENZA ALCUNA RIEDIZIONE E STILE. COME SI DICEVA NEI COMPITI IN CLASSE GIANGRANDE VEDI DELL'ERBA!
Salve, sono un giornalista milanese a contratto per la nota rivista d'arte " Senza titolo". Qualche tempo fa sono andato a foggia per lavoro, e mi è capitato di andare all'inaugurazione dell'artista pugliese Giangrande, curioso di ammirare questo nuovo talento. Appena entrato sono rimasto veramente disgustato da come si esaltino tali sciocchezze, mascherate da opera d'arte! Siamo tutti consapevoli di come si sia arrivati a questa trattazione degli objects trouves che ormai non fanno più rumore poichè non più simbolo della storia del novecento; siamo nel duemilasette, dunque oggi è molto facile appropriarsi delle idee altrui, e Giangrande è caduto nel baratro della grossolana imitazione. Deprecabile quindi il suo intento di imporsi nella storia del firmamento artistico contemporaneo, ho trovato questa mostra un vero flop!
il lavoro di giangrande non mi piace ma mi pare che stiate un pò esagerando dandogli addosso
"Warhol rubava forse l'identità di Marilyn Monroe quando la dipingeva? E Cezanne cosa faceva? Rubava le mele? Nell'arte tutto quello che puoi fare è appropriarti di quello che ti circonda. Non è mai un furto. Al massimo un prestito. A differenza dei ladri, gli artisti restituiscono sempre quello che rubano".
Maurizio Cattelan