Guernica.Simbolo, per dire, che
quelle braccia, quelle teste,
quelle bocche spalancate, quelle figure sapientemente scomposte da Picasso, sono emblema e motivo cui l’arte europea fa
riferimento negli anni del dopoguerra. In quegli otto anni effervescenti,
quelli che la mostra ravennate racconta, quando l’arte si fa paladina
dell’ansia di rinnovamento, della voglia di ricominciare. All’alba del boom
economico, il linguaggio artistico in Italia, si sviluppa attraverso gruppi, tendenze,
alternative. Un tourbillon espressivo, un crogiolo
ribollente in cui il vecchio e il nuovo si fronteggiano, tradizione e
innovazione, si riflettono nello stesso specchio. Allora, schiere di giovani artisti,
liberi ed entusiasti, rifiutano l’elemento figurativo, guardano all’astrattismo,
snobbano i grandi maestri celebrati tra le due guerre, come Casorati, Campigli.
Ed
è allora, che la mostra propone
capolavori come una calda Marina di Carrà e le silenziose nature morte di Morandi: vasi gentili che dialogano con
lo sfondo, in un abbraccio dai colori pastello, Rose bianche di De Pisis,
in un alone leggero di realtà, Ettore e
Andromaca, di De Chirico,
celeberrima opera di un grande interprete surrealista, la Cavalcata di Sironi, dove
cavallo e cavaliere sono tutt’uno. Un coro di voci originali e nasce il Fronte nuovo delle Arti: i nomi sono
quelli di Birolli, Guttuso,
Leoncillo,Vedova, Pizzinato e dalle loro opere emerge un contenuto di rottura,
di un nuovo ordine. Qualcosa, che questo gruppo presenterà alla Biennale di
Venezia del 1948, dove Torso, in marmo
bianco di Viani, sintesi vibrante di
una forma, sarà il linguaggio morbido di una scultura dalla forza dirompente.
Il Ritratto di Benedetta, elegante
dipinto di Balla, è collocato fra le
opere dei giovani polemici di Forma I, l’oscuro
linguaggio di un Senza titolo di Dorazio, di Magnelli, le geometrie di
Accardi, gli incroci di linee e cromie di Attardi, il rincorrersi dei colori di Perilli, la miniera dai tratti chiaroscuri e l’arte abbandona il
solipismo della poesia, per raccontare temi sociali, lontana dal diritto alla banalità. Quando Fontana, di cui la mostra non propone
i suoi famosi tagli, ma piccoli fori e vetri su tela, scrive nel manifesto
dello Spazialismo, vogliamo che il quadro
esca dalla sua cornice, i suoi concetti creano uno spartiacque fra il
prima, il dopo e, Al risveglio era
mezzogiorno. Un’ atmosfera, in cui
Spadoni, il curatore della mostra, colloca anche Baj e le sue Forme nucleari.
Nel vortice artistico, nella eterogeneità delle impostazioni, nel periodo che
va dal 1945 al 1953, fa la sua comparsa il lavoro di Capogrossi, Prampolini, di Burri,
laddove compaiono elementi materici inusuali. E non finisce qui, i capitoli che descrivono le varie posizioni, che
hanno contribuito allo sviluppo di una identità nazionale, di un senso di
appartenenza, fra le 180 opere di ottanta artisti c’è Dorfles, c’è Borgonzoni, con
un gruppo di mondine dal tratto fra realismo e cubismo, c’è Licini, con quel suo Angelo ribelle su fondo giallo, che pare
il guardiano di una città dell’arte. Dello stesso autore, un olio su tela dai
tratti picassiani, ha un titolo che pare un omaggio al 150esimo del nostro
paese. Italia, un titolo che suona
come augurio, perché l’arte possa identificarsi in un nuovo rinascimento di
valori.
cecilia ci
mostra visitata il 12 febbraio 2011
dal 12 febbraio al 26 giugno 2011
L’Italia s’è desta: 1945-1953
a cura di Claudio Spadoni
MAR – Museo d’Arte della Città
Via di
Roma n.1, 48100 Ravenna
Orario:
martedì, giovedì e venerdì 9.00/13.30 – 15.00/18; mercoledì e sabato 9.00/13.30
domenica 15.00/18.00; chiuso il lunedì
Catalogo: Allemandi Editore
Info:
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