Basements, una doppia accezione: la base indicata per sostenere, innalzare, elevare a “opera” una scultura e, medesimamente, quel vano senza collocazione tra i piani di un palazzo utilizzato per il mantenimento del resto dell’edificio. In entrambi i casi, si tratti di arte o di un grattacielo, il basements è la figura che permette il funzionamento di una serie di altri protagonisti, è il macchinista, il tecnico delle luci, la costumista, il truccatore senza il quale lo spettacolo non potrebbe continuare. O zoppicherebbe, come una scultura equestre senza base.
Una mostra che prende origine da questa dimensione di “servizio” e dal blocco di terra arata di quattro metri quadrati e quaranta centimetri di altezza che accoglie i visitatori nella prima sala al piano terra della galleria. Ovviamente non si tratta di terra vera ma di una scultura in bronzo che, oltre al campo arato, ricorda da vicino il suolo lavico della Sicilia, delle pendici vulcaniche, della zona dell’Etna.
In qualche modo il basamento del piano terra è in stretta corrispondenza con La strada di sotto, opera del 2011 concepita nel paese siciliano di Ficarra, in provincia di Messina, dove Bartolini fece una residenza lo scorso anno.
La strada di sotto è il ribaltamento di centinaia di luminarie, solitamente sospese sopra le teste degli abitanti del paese durante le feste religiose, a paesaggio terreno, nel senso che Bartolini ridispone questo immenso fascio di luci e colori in orizzontale, sul pavimento (sarebbe possibile considerarlo un altro genere di basamento?) disegnando una metropoli in una notturna aerea.
Basamenti differenti, la terra sì, ma anche la luce, un pulviscolo di colori intermittenti, labili, cangianti a raffronto con la spigolosità del nero del solco arato.
Basamenti per la nascita di due sintassi poetiche probabilmente molto differenti partendo dallo stesso assunto, quasi come la medesima strada che piega in due tronchi per poi ricongiungersi in un ideale proseguo.
Massimo Bartolini definisce questo procedimento un “viaggio di ritorno”, la necessità di arrivare alla terra e di costituire altro terreno attraverso un modo d’impiego alieno del culturale, della verticalità e della sacralità della festa.
Antropologicamente la terra, il raccolto, le fasi dell’estate e le corrispondenze con santi patroni, leggende di paese e devozioni varie ed eventuali hanno sempre significato e determinato motivi di ringraziamento, processioni, innalzamento di statue al cielo a coronare la grazia o a richiederla.
In qualche modo il “terreno” ha sempre a che fare con un aspetto taumaturgico dell’esistenza; c’è la vita e ci può essere la morte, c’è un paesaggio sociale e dunque, anche quella conciliazione degli opposti che Bartolini ricerca nelle due versioni della “base”.
A terminare, il perno perfetto che rende questa personale di Bartolini un trittico, o forse una trilogia: un dialogo di Don Valentino, 84enne che ogni anno monta le luminarie nel corso di Ficarra, il punto di fusione tra i due mondi, la terra nuda e cruda, il mondo della fatica agricola e la festa, a compensare un anno di lavoro, a illuminare questa scultura che è l’uomo, in piedi sul terreno e illuminato da una moltitudine variabile di stelle.
matteo bergamini
mostra visitata il 17 settembre 2011
Dal 15 Settembre al 12 Novembre 2011
BASEMENTS
MASSIMO BARTOLINI
Galleria Massimo De Carlo
Via Ventura 5
20134 Milano
Tel: 0270003987
info@massimodecarlo.it
www.massimodecarlo.it
[exibart]
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E’ veramente incredibile la capacità di questo artista mid career di sviluppare lo smart relativism: e quindi la capacità di passare da un buona trovata all’altra senza poter individuare un filo conduttore; un'urgenza di fondo che si possa esprimere con un linguaggio minimamente originale; ma "originale" non nel senso di novità ma nella sua capacità di dialogare con il presente e la storia: siamo ancora al ready made (le luminarie accese, e poi non si capisce il perchè a ben guardare il suo percorso precedente, rimando al comunicato stampa di Amir's Easements); poi troviamo una scultura in bronzo che vuole essere ready made (perchè non usare la terra vera???…a questo punto…). L'arte povera ancora che preme, mi viene in mente il cubo di terra di Pino Pascali.
“terra, base per l’esistenza di ogni cosa” si legge nel comunicato.. si può essere più didascalici? E poi intitolare la mostra “basements”= basamenti? Come traduzione c’è anche seminterrati….forse più centrato. E poi in inglese, così a caso. Recuperiamo la terra, le origini, ma poi l'inglese. A caso.
Ci vuole tutta l’esperienza e l’autorevolezza di massimo de carlo per difendere questo ennesimo esempio di smart relativism. In assenza di una critica d'arte gli spazi sono diventati luoghi in cui tutto è ammissibile ed accettabile. Questo avviene, a meno che non troviamo valori forti, consolidati o giovani realmente frizzanti. Le stesse cose in altro luogo, le stesse cose non supportare dalla relazioni giuste, cambiano, non sono più considerate allo stesso modo. Per questo sono convinto che la materia di queste luminarie e di questo calco in bronzo non sia il legno e il bronzo, ma credo che tale materia sia fatta di luoghi e relazioni.