Uno dei principali equivoci in cui si cade quando si pensa all’uso artistico delle tecnologie si basa sulla convinzione che questo debba necessariamente produrre un lavoro autoreferenziale, in cui linguaggio e contenuto arrivino a coincidere. E questo nonostante personaggi come Dan Flavin ci abbiano insegnato che una luce al neon può esprimere molto di più della semplice poeticità di una luce al neon.
Il lavoro di Antonio Cavadini (Tonylight), presentato per la prima volta in una personale dalla galleria Fabio Paris, corre particolarmente il rischio di stimolare questo equivoco. Eppure pochi lavori ne sono, come il suo, completamente estranei. Il suo amore per le macchine e l’elettronica non è un amore da tecnofilo, ma si radica in una profonda consapevolezza del loro contesto culturale e del loro ruolo sociale. Quando si appropria di un hard disk o di un Gameboy, li manipola e li fa suonare, Tonylight mette in gioco sia il ruolo sociale di questi oggetti, sia le emozioni e i ricordi che questi suoni (quello sincopato di un HD inceppato, quello infantile e pieno di reminiscenze di un sintetizzatore a 8bit) suscitano in noi.
Nella mostra da Paris non troveremo traccia della ricerca musicale di Tonylight, che lavora tra l’altro con i milanesi Otolab e suona musica 8bit nei club di mezza Italia. General Electric si concentra piuttosto sull’altro medium fondamentale per la sua ricerca artistica: la luce. Il suo percorso parte, idealmente, da una centralina posta su un lato della galleria, si snoda lungo una sorta di algido cordone ombelicale appollaiato su tre poveri, e alquanto provvisori, tralicci in legno (General Electric, 2006); si arrampica su per gli scalini di una bizzarra scaletta installata orizzontalmente in un angolo del soffitto della galleria (Tecnologia Maya, 2005). Infine scende ad animare un piccolo monitor home-made popolandolo con i simpatici alieni di Space Invaders, un videogame che ha un posto nel cuore (e nell’infanzia) di tutti noi (Space LED, 2006).
La tecnologia utilizzata ovunque è il led luminoso: una tecnologia povera, la cui luce intermittente e colorata fa pensare ai grandi billboard che vengono utilizzati per lanciare messaggi informativi o pubblicitari nelle strade e nelle piazze. Ma nel lavoro di Tonylight viene completamente destrutturata per modellare flussi di luce e atmosfere psichedeliche. La riflessione sulla precarietà ritorna in tutti i lavori: precarietà della corrente elettrica e della luce, una risorsa preziosa che diamo troppo per scontata. Ma anche la precarietà del nostro presente, provvisorio come i tralicci da cantiere che reggono questa instabile impalcatura, pronta ad essere demolita da un momento all’altro. Una precarietà a cui Tonylight risponde facendo appello alla forza della fantasia e della meraviglia, come il bambino della parabola del Subcomandante Marcos che ha ispirato Tecnologia Maya: capace di risolvere, con un piccolo ribaltamento di prospettiva, una questione di vita o di morte.
Da General Electric si esce più consapevoli, ma anche più leggeri. E per una mostra non è niente male…
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mostra visitata il 18 novembre 2006
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