Mai come nell’antichità il corpo ha costituito il fulcro del sapere dell’uomo e del suo sapersi nel mondo. Uomo e mondo, in sintonia, sono il principio di azione per cui la realtà non è altro se non il diffondersi delle possibilità del corpo sulle cose e attraverso di esse, in una sorta di assonanza con l’ordine cosmico e spirituale. Ne deriva l’idea di un corpo che ha del divino, per cui il gesto, la voce, la sola presenza sono simboli di massima espressione di un sentire profondo. Il corpo come sintesi di una soggettività complessa e fuori di sé, finestra dolente aperta tra la realtà delle cose e il loro riflesso divino, simbolico, passionale.
The Academic Body, la mostra ospitata dall’American Academy a Roma, dal 22 maggio al 13 luglio, parla di questo. Iscritta nella serie Nuove ricerche sulle arti e sulle discipline umanistiche: il corpo, la mostra riscatta il corpo come simbolo, non solo sottraendolo alla limitazione frustrante del concetto di “cosa” separata dall'”idea”, ma riscattando anche il termine “accademico” da un’accezione negativa associata alla pedanteria e devolvendolo alla pratica artistica come approccio radicale, come un memento del valore espressivo del corpo che va ben oltre l’aspetto formale.
Se il corpo ha da ritrovare nella presenza la propria espressione, non a caso a introdurre e a far da manifesto alla mostra è una performance: Tom Johnson, sulle note del Frankenstein di Adrienne Kennedy, racconta il dramma dello stare al mondo (diverso dall’essere-nel-mondo), dell’essere visti (ben diverso dal vedere). Johnson riporta la tragedia del corpo oggettivato, semplificato in un nomignolo che ti può rovinare o in connotati che in società diventano catene: “there are many risks in being a woman”. Il corpo, spogliato del simbolo, si avvolge quindi sulle pene dell’essere oggetto per gli altri e sulla vergogna di rappresentare un segno: “Life clings closest where most hated”.
Sagmeister, AIGA Detroit, dettaglio, 1999
Le cicatrici che i secoli hanno lasciato su un torso antico, il quale da il tono alla mostra, si diramano nelle varie opere contemporanee esposte tramutandosi in forme di espressione di croci attuali: il corpo come rivendicazione di orgoglio etnico, transgender e omosessuale; il corpo di donna che vuole tornare a integrare la terra; il corpo che si rivela attraverso l’assenza a cui è condannato. Il corpo che aspetta l’artista il giorno della sua morte, di Patricia Cronin, e il corpo come ultimo manifesto possibile, del designer Stefan Sagmeister, lasciano detto come questo supporto va oltre la storia dal momento che, mentre questa è un flusso continuo, senza di quello non ci può essere nulla perché nulla troverebbe espressione. Oltre a loro sono presenti altre 18 firme: Sanford Biggers, Daniel Chester French, Stephen Greene, Ann Hamilton, Lyle Ashton Harris, Tom Johnson, Sally Mann, Paul Manship, Jessie Marino, Beverly McIver, Ana Mendieta, Wangechi Mutu, Catherine Opie, David Schutter, Sissi, Giuseppe Stampone, Catherine Wagner, Deborah Willis. Sebbene non tutte immediatamente coerenti, le opere in mostra dichiarano insieme un intento comune e mettono in luce il valore degli artisti che formano la collezione dell’Accademia.
Riccardo Franzetti
mostra visitata il 22 maggio
Dal 23 maggio al 13 luglio 2019
The Academic Body
American Academy in Rome
Via Angelo Masina 5 – 00153 Roma
Orari: giovedì-sabato, dalle 16 alle 19
www.aarome.org/it