Jan Saudek (Praga, 1935) e
Riccardo Mannelli (Pistoia, 1955; vive a Roma) si
ritrovano in una mostra (in versione ridotta è già stata presentata all’Istituto
ceco di Roma) dove le celebri e controverse fotografie del primo, quasi sempre
incentrate su visioni teatrali del corpo femminile, vanno in parallelo alle
inquiete pitture e ai disegni del secondo.
La riunione dei due artisti funziona perché la forza delle
immagini di entrambi consiste nel liberarsi da qualsiasi malizia
biopolitica, nello spezzare quelle trappole
discorsive che partecipano della stessa strategia repressiva sui corpi che
intendono denunciare.
Si tratta di immagini che, al contrario d’ogni pornografia,
sono refrattarie alla consolazione: se infatti oggi non v’è nulla che più
affascina quanto
sapere i segreti dell’uomo ordinario, qui – in maniera plateale nel caso di
Mannelli, più surreale in quello di Saudek – tutto è mostrato e non v’è più
soddisfazione possibile per chi vuol sapere.
Vi è in tal senso un rovesciamento dell’
anatomia
dell’immagine teorizzata da
Hans Bellmer, l’artista surrealista famoso soprattutto per le sue
bambole a grandezza naturale, il quale metteva alla base delle sue opere la “
volontà
di sapere” ben
prima che fosse teorizzata da Michel Foucault.
E se
Man Ray, appena letto il saggio di
Bellmer intitolato
Piccola anatomia dell’inconscio fisico, gli rispose con l’anagramma di
Image,
ovvero Magie,
qui, dopo la visita alla mostra, potremmo fare il contrario e rispondere con
l’anagramma di
Magie, ovvero Image.
Vi è, dunque, più appello alla ragione che ai sensi, e
questi corpi sono ripari fragili, ma nondimeno ripari, per amanti in fuga dai
terremoti della modernità che, fin dai tempi di quello di Lisbona, hanno
sfidato la ragione. Possono essere interpretati come denunce della corruzione
morale, o addirittura opere corrotte esse stesse; noi crediamo invece che
nascondano
baci
tra amanti, la cui tenerezza è incomprensibile alle burocrazie.
Ciò che davvero turba di queste immagini non è tanto il
soggetto, ma l’estrema cura con cui sono realizzate (bisogna pensare al ritocco
pittorialista delle fotografie di Saudek, oppure ai virtuosismi a base di
pastelli, acquerelli e matite di Mannelli): una trasgressione barbarica dei
canoni classici dell’estetica, che preferivano il troppo poco al troppo.
Meglio infatti, stando ai canoni, non mostrare tutto, e se
proprio si deve si mostrino le cose abbacinanti come sono. Qui tuttavia si
mostra molto più di quanto il reale non lasci intravedere: si illustra il non
detto, senza per questo cedere all’estetica dilagante del disgusto.
I
geni non fanno più notizia, con tutta la gente che li capisce, ma
questi artisti fanno ancora notizia e spesso continuano a essere fraintesi
(vedi il caso delle polemiche milanesi dell’anno scorso per la mostra di
Saudek). Forse perché sono maestri ispirati, che non rispondono più alla
categoria obsoleta del genio artistico.