Anteprima assoluta in Italia per
Astolfo Funes (Maracay, 1973), che dal Sudamerica approda direttamente a Lecce, alla PrimoPiano Living Gallery, per la personale
Historia de vida, che già preannuncia le intenzioni dell’artista di comunicare la contemporaneità attraverso l’osservazione della vita “vera”, quella vissuta sulla pelle, quella che lascia i segni indelebili dell’esperienza, quella che vale comunque la pena di vivere.
Naturalmente si tratta del “suo” presente, con tutto il background della tradizione e della cultura latino-americana, dei suoi colori, delle sue storie, delle sue persone, delle sue strade, delle sue case. Uno sguardo curioso, smaliziato, navigato, ma che al contempo ha mantenuto una purezza primordiale, quasi infantile, che si sorprende ancora davanti alla bellezza, a volte amara, dell’esistenza. Lo sguardo di Funes, nato e cresciuto in una piccola provincia del Venezuela, dove con determinazione ha superato il limite vincolante della quotidianità , vincendo pregiudizi e ostruzionismi, fino a conquistare la vetta della sua natura: quella dell’artista. O del pittore, per la precisione.
Audace anche in questo: colori infuocati e tinte sgargianti celebrano la forza cromatica della sua terra, quasi accecano come un sole incandescente e si rafforzano nel gesto deciso e vigoroso della pennellata, che mescola e fonde i segni, intrecciando trame inquietanti ed esteticamente travolgenti, congelando istanti di realtĂ strappati al mondo.
Funes è un “passeggero” curioso e discreto, nutre la sua fame di conoscenza esplorando le emozioni, soffermandosi sugli aspetti più “umani” dell’uomo, sugli istinti più bassi come sui sentimenti più sublimi. Una figura su tutte affascina l’artista, la donna. Amante, madre, amica, figura eterea dell’immaginario e precipitata nella crudeltà del mondo, la donna è vista come la creatura più emblematica, depositaria di una forza arcana, capace di penetrare l’essenza stessa della vita, di cogliere a piene mani l’intensità dell’esistere, l’energia vorticosa del “sentire”, e di farlo con una semplicità disarmante.
Nascono così i dipinti
Mujer contemporanea,
La pacinte o
Las amigas de Milton Blanco, dove la nudità esibita o l’apparente indecenza dei modi celano invece la volontà di affermare la propria dignità , di svelare il mistero, il “femminile terribile”, a metà tra bellezza e orrore, purezza e peccato. La gestualità esasperante delle pose delle mani, i corpi discinti, gli abiti succinti, gli occhi grandi e fissi dallo sguardo impenetrabile, eppure tanto illuminante, raccontano storie di persone. Che sono le storie di tutti.