E’ cosa opportuna visitare la mostra nel tardo pomeriggio, quando la luce naturale proveniente dalla corte interna del cinquecentesco Palazzo Cavriani non è più sufficiente ad illuminare le due ali espositive, separate dal patio tramite il diaframma delle vetrate, e si rende indispensabile accendere le luci artificiali. Ed ecco avvenire un piccolo miracolo illuminotecnico: la dialettica tra la parete e le opere perde di consistenza perché l’opposizione tra il supporto (il muro) e le installazioni ad esso addossate (tele, vetri, gessi, ferri) è assorbita dall’unità degli elementi nell’ombra. Pur rimanendo la proiezione dell’oggetto artistico, e dichiarandone l’esistenza come volume, l’ombra diviene strumentale alla pittura, vero e proprio mezzo estetico, pennellata buia necessaria alla totalità dell’opera.
Così Marco Gastini (Torino, 1938) continua e amplia le sue ricerche iniziate negli anni Sessanta in cui nella trasparenza del plexiglas sondava le formule della rappresentazione. Qui il plexiglas è sostituito dal vetro, come in In centro, piccola lastra segnata all’incontro delle sue diagonali da una X e che fa apparire la propria ombra nella stretta porzione di muro, adattissima ad ospitare, come in una nicchia, una cosa preziosa.
Gastini, che nel 1980 in …come di un respiro che preme nei polmoni, aveva fatto dialogare una serie di pergamene su tela con un tronco, prelevato dal mondo e introdotto come impulso energetico, non poteva esimersi dall’interagire col glicine che attraversa per tutta la sua altezza e oltre, una sala della galleria. E’ una pianta antica, che come nel talamo di Ulisse penetra nel palazzo. Il sogno del glicine è una struttura costituita di lastre di ardesia appese al soffitto, scostate dal muro, in parte sovrapposte e decrescenti dal basso verso l’alto; sulla parete è dipinta un’ombra blu oltremare,
“L’angolo, spazio coinvolgente; tutto parte dall’angolo e tutto va verso l’angolo, l’attirarsi e il respingersi è già latente nello spazio senza intervento…” diceva Gastini nel 1982 “L’angolo concettualmente è anche lo spazio di due pagine di un libro che si aprono.” Tale convinzione permane con (In) angolo dove triangoli aggettanti dal vertice della sala, ferri curvilinei culminanti con un pistillo di gesso e frammenti blu, satelliti sul muro, condividono la tensione di uno spazio ambiguo, da cui si parte ma allo stesso tempo si ritorna.
Troppo legato all’interrogazione sul fare pittura per essere un poverista e parimenti appassionato al fattore energia per essere semplicemente un analitico, Gastini rivela una genealogia tutta italiana della sua poetica, fatta del Burri dei Sacchi e del Fontana dei Tagli, dei Quanta e degli Ambienti spaziali. In un interrogativo costante sull’arte, coerente eppure sempre rinnovato.
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