Versailles, 1745, nozze del delfino Louis, figlio di Luigi XV. Va in scena la prima di Platée di Jean-Philippe Rameau. Atto secondo: per festeggiare l’incontro di Giove con la ninfa Platée, la Folie organizza un balletto di pazzi, travestiti da buffoni e da filosofi… Travestiti. Come i protagonisti del Nuovo Mondo di Matteo Basilè, che si affaccia in questa mostra. Ma qui è diverso, però. Matthew Barney ci ha già detto che il travestimento postmoderno è trasformismo, alterazione, mutazione, è il paradigma di uno screening identitario in continua fluttuazione. Con questa nuova serie fotografica Basilè apre inquietanti finestre su un Settecento di maniera, voluttuoso e dissoluto, popolato da ambigui e straniati quanto improbabili personaggi, e individua in questa temperie cortigiana e dissoluta, nella voga che vi alligna per l’esotico, l’inconsueto, il mostruoso, il luogo in cui tutto si relativizza, si mette in discussione. Il trionfo dell’indefinitezza. Affacciato a queste finestre puoi immaginare che da dietro un pesante damasco faccia capolino la Marchesa di Pompadour. Ma anche che dopo poco la stessa receda dall’altisonante pseudonimo, tornando a vestire i vili panni di Jeanne-Antoinette Poisson. Così come Voltaire, quelli di François-Marie Arouet, o magari Stendhal, quelli di Henri Beyle. Nell’insistito indugiare dell’artista romano su questo effimero formale si cela la lucida coscienza di un obliquo effimero esistenziale, di cui il riposizionamento semantico dei soggetti svela tutta la transitorietà. Se Andy Warhol prendeva una scatola di zuppa al supermercato e la innalzava –o forse abbassava?- agli altari della nuova (nei Sessanta) cultura pop, Basilè prende “oggetti” umani periferici, emarginati, residuali, e gli mette addosso il vestito buono da opera d’arte.
Ma parrucche, chiffon e strascichi stanno addosso a La Karl, o a Lili –gli eroi di questo New World– come i travestimenti a Fregoli. Tutto pare provvisorio e precario nella street life metropolitana che è ancora il serbatoio visuale dell’artista, dove la notte si popola di transgender e Drag Queen, un popolo che idolatra Pedro Almodovar e in tv non si perde una puntata di Markette. Dove oggi sei un marchettaro alla Stazione Termini, e domani magari sei un paggio incipriato e in crinolina. Finché non ti accorgi delle mosche, o dei graffi irregolari sulle fotografie. E ti domandi: saranno veri o parte del gioco? L’incanto vacilla, poi vedi un tizio che si avvicina ad una foto, caccia svelto dai jeans un mazzo di chiavi, e tira un graffio allungato sulla “vernice”. È Matteo Basilè.
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massimo mattioli
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Per Basilè siamo giunti al capolinea... brutta mostra, nessuna novità se non questa bieca parodia della vituperata Becroft... noia insomma!
Infatti è da Ronchini non da Gagosian!
... un motivo ci sarà!
Ciao Slalom,
visto che non sai neanche come si scrive devi conoscere molto poco sia il lavoro della Beecroft sia il lavoro di Basilè.
Ti suggerisco di informarti meglio prima di esprimere giudizi...
Non sono per nulla d'accordo Slalom. E' come paragonare Pasolini con Carmelo Bene!!!Non è proprio il caso. Sono due cose completamente diverse. Cosi' Basilè e Becroft..
Mostra molto bella dove ritrovo un bellissimo percorso che ha fatto l'artista tra bellezza... e meravigliosa mostruosità.
Bravo Lorenzo Ronchini per aver scelto un'artista come Basilè.