La collettiva a cura di Roberta Ridolfi è un panorama lucido sulla perversa attualità. Le sue parole sono significative: “
Un presente che è il nostro tempo, ma anche quello di un luogo, il nostro Paese, che ritrova, in qualche cassetto di un passato anche troppo recente, l’infamia della discriminazione e la spavalderia dell’impunità per alcuni”. Gli artisti in mostra a Perugia perseguono quest’idea e questa intenzione: svelare l’inganno sotteso alle apparenze, con le quali facciamo i conti ogni giorno.
La mostra è dedicata a tutti coloro che sentono con trasporto la povertà di sentimento, di ragione e di passione alla base del vivere attuale. La povertà intellettuale è ben descritta da
Benedetto di Francesco: la sceneggiata a cui prendiamo parte nella serie
Atto di Famiglia è terribilmente tragica. Ma più spaventosa è l’idea folle nascosta nei personaggi dell’artista, che tanto vorrebbero vedere le mura della propria casa crollar loro addosso, per liberarsi con violenza dal peso dell’apparenza.
Senza possibilità di scelta,
Gianluigi Antonelli offre come riscatto al pubblico una ghigliottina bianca e impuntita, senza una macchia di sangue; sulle pareti, invece, una sequenza ininterrotta di loghi moderni del dolore. Resta solo da decidere chi mandare al patibolo o, peggio, andarci per primi. Anche
Gabriele Silvi utilizza l’espediente del simbolo facilmente riconoscibile, che investe di un significato tutto contemporaneo. Le sue installazioni hanno un valore talmente ludico che riescono a offrire al visitatore una visione disincantata sull’attualità.
Daniele Bordoni, al contrario, fa uso di un simbolo sofisticato, la
Sinapsi, complesso meccanismo dell’impulso nervoso col quale sublima il mondo in una sorta di ordine cosmico immutabile.
Rita Vitali Rosati e Giovanni Gaggia fanno del corpo e della sua corruzione il loro mezzo espressivo privilegiato. La prima, con il progetto
Metastasi, interpreta con estrema raffinatezza il dolore, rappresentato dalla contrapposizione fra l’incanto del corpo femminile e l’immagine dei fiori corrotti dal tempo. Questi ultimi, in fase di decomposizione, sono metafore delle brutture, dei magoni e dell’inadeguatezza subiti nel tempo, e questo solleva il sipario dell’intero spettacolo, svelando implacabilmente la verità.
Giovanni Gaggia propone d’altro canto una performance in cui un uomo e una donna danzano elegantemente su un
Valzer per amore di
De Andrè. Significative le parole finali – “
Ma tu vieni, non aspettar ancor, vieni adesso finché è primavera” -, che trovano il naturale seguito in un’elegia spudoratamente erotica di Ovidio; e tutto si sublima in un amplesso. La sintesi della performance sta nell’istallazione di uno scrigno glitterato nel quale entrano i calchi dei cuori, a suggello di un desiderio conquistato, oltre il tempo.