Sembrava solo un
divertissement, invece
1+1 è una scelta seducente. La soluzione dell’“accoppiamento” tra piccolo e grande è appropriata per esaltare artisti che da sempre “appartengono” alla storica galleria barese. L’accurato coordinamento recente delle iniziative, di Lino Sinibaldi – già evidente nello stand ad Art First di Bologna – ha colmato una lacuna della programmazione della galleria rispetto agli spazi di Bonomo in quel di Roma. “Stile” curatoriale un po’ latitante, taglio critico solo accennato, cui sopperiva, sempre e comunque, l’alta qualità dell’offerta.
Così, la collettiva
1+1, pur senza grandi novità nella lista dei partecipanti, rivela un notevole equilibrio nella selezione e nell’accostamento delle opere, in un allestimento nudo e crudo, pulito, che conferisce respiro a ognuna e un appeal museale agli spazi della galleria.
Lo spunto è il confronto ravvicinato tra differenti formati, tra produzioni artistiche che rivelano affinità di ricerca e forma o giocano per contrasto, internazionali o locali che siano; il medium è prevalentemente pittorico. Il percorso appare “leggero”, anche laddove la maestosità aggressiva di colore e segno (vedi le grandi dimensioni dei dipinti di
Marc Queen o l’esplosione delle macro-efflorescenze messe in scena da
James Brown) incontrano le trasparenze volumetriche di
Tristano di Robilant, che fronteggiano a loro volta il microcosmo, impalpabile e geometrico, di
Tullio De Gennaro o l’impegno sociale “sottile” di
Agnese Purgatorio, di contro alla monumentalità di
Salvatore Astore o agli sprazzi in bianco e nero di
Pat Steir, in dialogo con la fotografia pura di
Beppe Gernone.
Quindi, allinea il
mini informale d’autore, firmato
Carla Accardi, e l’asciuttezza evocativa in grande stile di
Giuseppe Caccavale; il paesaggio mentale di
Matteo Montani a tu per tu con quello naturale di
Elger Esser e con l’eleganza di
Carlo Fusca; la casualità “acromatica” in grande scala di
Beatrice Pediconi e le pillole cromatiche di
Paolo Lunanova; il preziosismo dei sanpietrini
Franco Dellerba e il neo-surrealismo di
Jiri Jeorge Dokoupil; il colorismo esasperato di
David Tremlett e la foto-grafia di
Mario Giacomelli. E, ancora, il dettaglio di
Annalisa Pintucci con quello affine di
Jeffrey Isaac, il colore smorzato di
Pippo Patruno e quello “poverista” di
Richard Tuttle. E poi le grandi/piccole presenze di
Sol LeWitt,
Nunzio,
Mimmo Paladino e
Choegyal Rinpoche.
Insomma, un’esposizione di cui è superfluo giudicare i nomi. Una mostra d’impianto tradizionalista, ma tutta da gustare. E in tempi di magra è una scelta intelligente strizzare l’occhio a un collezionismo che vede, nella pittura e nella scultura di dimensioni contenute, un piccolo “tesoretto” che fa bene alla tasca e anche allo spirito.